La Luna rossa
Il primo romanzo di Lorenzo Sassoli de Bianchi dice come si può perdere una vita e trovarne un’altra. Viaggio tra Bologna, Napoli e Tom Waits
Tutto cominciò con «Il nirvana della rol». «La nona nota», la rol, il Graal dei sognatori. «Per raggiungerlo la leggenda narrava di uno strano rito: si doveva ingollare una corda di contrabbasso e anche digerirla, cosa non difficile visto che si trattava di budel». Un sogno. Già, non può partire che da un sogno musicale La Luna rossa, con cui Lorenzo Sassoli de Bianchi si inoltra nel mondo della letteratura. «Erano i mesi del virus. Andavo in ufficio in Valsoia e poi a casa in centro. Erano i giorni e le notti dell’estraniazione del Covid 19. Sognai un veggente che mi diceva: scrivi, scrivi. La Luna rossa è nata così, come un inno ai sogni, al coraggio. Annunciata dal veggente Rol).
Il libro, (Sperling & Kupfer, 218 pp, euro 16,90) si può leggere e cantare, è una storia fantasticata e dolcissima, un concerto a più voci e per voce solista, un musical, 52 brani musicali aprono il libro, sono i titoli per un traghettarsi verso altre vite o dare un senso all’attuale, con la Luna rossa che spunta sempre, da Napoli all’East Side di New York. In cielo, nelle canzoni, nelle insegne. Cometa di esistenze reali e poetiche. E’ anche (soprattutto?) un’autobiografia sentimentale. Sassoli prima di diventare l’imprenditore della Valsoia, il presidente dell’Upa che guida gli utenti delle pubblicità, era un neurologo, un esperto di sonno sotto la guida di Elio Lugaresi. Ci deve essere qualcosa di magica nell’incipit in camice bianco: il Maestro scriveva da dio, come chi ne ha ereditato il Centro per il sonno, Giuseppe Plazzi, professore all’università, neurologo al Bellaria, con I tre fratelli che non dormivamo mai ha scritto un romanzo di vita.
C’è tutto Lorenzo Sassoli nello scorrere di pagine. Ragazzo,
spuntava nella galleria d’arte di Ginevra Grigolo in via Val d’Aposa, Lucio Dalla lo invidiava perché alto e bello, le loro finestre si vedevano, sono stati amici per una vita, gareggiava su chi conosceva più canzoni (si capisce dalla playlist), lui è diventato collezionista, presidente della Gam e del Mambo, dei musei cittadini, adesso ha una galleria sua a Milano. Sassoli ha scritto un libro di parole, canzoni, quadri, poesie: non a caso lo presenta con un garbato spettacolo il 20 settembre, alle 21 all’Arena. Lui a narrare, Laura e Roberto Macrì a cantare e suonare il piano.
«Un’opera letteraria, — scrive Renzo Arbore, perfetto prefatore — che mi ha stupito e affascinato per alcune «assonanze» (sono pur sempre un musico…) con i miei gusti, la mia “cultura” (tra virgolette e senza virgolette) e perfino la mia carriera scombiccherata, divisa tra il mio napoletanismo e il mio americanismo».
La storia di Jerry (Gerardo, omaggio a un amico napoletano-bolognese di Sassoli) Romano, esoterico musicista, pilota di traghetti a Napoli, di suo figlio – che scrive – di sua moglie, di sua figlia, è come si può perdere una vita e di ritrovarne un’altra. Un inno d’amore a Napoli e New York. Sassoli sorride.
«In realtà parto da qui, da Bologna. Il primo a cantare Luna rossa, canzone mitica napoletana, scritta da Vincenzo De Crescenzo, eseguita in tutto il mondo, da Frank Sinatra a Ella Fitzgerald, fu nel
1950 il bolognesissimo Luciano Consolini, alla Festa di Piedigrotta, al Teatro Augusteo. E fra le canzoni su Napoli più famose al mondo, forse ormai la più famosa, c’è Caruso di Lucio Dalla».
Musiche filtrano, come i sentimenti. «Da grandi con Lucio ci univa anche la passione per l’arte contemporanea. Mimmo Paladino, Aldo Mondino, Luigi Ontani su tutti. Come la musica era un modo per capire il mondo e discuterne». Anche questo luccica nel libro. La guida verso «il rol», il traghettatore è uno dei musicisti più straordinari e strani, Tom Waits. En passant la sua «Time» fu tradotto in italiano nel 2000 da Dalla e Andrea Mingardi che lo stesso anno fecero duetto in «A io’ vest un marziàn».
«Waits — racconta Sassoli — è la sottotraccia. La musica che si cerca. L’uomo dei travestimenti, cantante, attore, autore teatrale. L’istinto a rigenerarsi in molte vite, la spinta che mette insieme tante essenze. Mi piaceva come mito che scioglie la trama. Rappresenta la contemporaneità, non un mito vincente. La solitudine, l’emarginazione sono sentite come sincere. L’ho visto tante volte: al Premio Tenco, a Milano, a Firenze».
«Quando guadagnerai i primi dollari, — insegna Waits al giovane Romano — non confondere la quantità con l’abbondanza e la ricchezza con la felicità, perché potresti presto diventare una scimmia armata, piena solo di soldi. Ribellati ai ribelli, alla tua età imparai a scavare buche. E seppellirmici dentro in modo da salvarmi in caso di incendio».
«Il mio rol – dice Sassoli – era la ricerca di una spinta verso il futuro, il continuare sempre a progettare. A sognare. Man mano scrivevo le parole divenivano canzoni e le canzoni parole. Le musiche sono un discorso compiuto, un’esperienza di stare insieme, di conciliazione con il mondo. La luna placa le inquietudini, le sofferenze, i dolori, è sospiro, passaggio del tempo. Il sole è una stella fissa; lei cambia. Sale, scende, come le passioni umane». I capitoli sono quasi storie a sé. Chiuse. Circolari. Cosa leggeva mentre scriveva? «L’Ulisse di Joyce. Capitoli».