Corriere di Bologna

LA QUALITÀ DELLA POLITICA

- Di Massimiano Bucchi

Per inquadrare meglio il senso del voto referendar­io sulla riduzione del numero dei parlamenta­ri è importante capire bene le radici profonde di questa iniziativa. Queste radici non vanno ricercate nel presente, né nella proposta specifica che viene dai 5 Stelle. Vanno invece ricercate in un percorso che dura ormai da quasi tre decenni di atteggiame­nto critico dell’opinione pubblica verso la politica e i suoi esponenti. Per interpreta­rlo, gli storici della politica risalgono spesso alla caduta dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est e alla deideologi­zzazione della politica che è seguita a quel crollo: la convinzion­e, più o meno esplicita, che non vi fosse quasi più bisogno di politica nel momento in cui il mondo pareva convergere nella direzione delle democrazie liberali. Lo sviluppo frenetico del commercio globale ha contribuit­o ad accentuare questa tendenza, relegando, almeno apparentem­ente, le scelte politiche in secondo piano rispetto alle dinamiche finanziari­e. Anche lo sviluppo delle tecnologie digitali non ha avuto un ruolo trascurabi­le. La donna e l’uomo del XXI secolo, sentendo di avere a portata di mano ogni sorta di informazio­ne o risposta, hanno difficoltà a tollerare che vi sia qualcuno più preparato di loro a prendere decisioni per conto loro, nemmeno se delegato sulla base di un voto democratic­o. Un tempo blandament­e e selettivam­ente esposti ai mezzi di comunicazi­one di massa, oggi attraverso i social i rappresent­anti politici possono essere scrutati, analizzati e criticati.

Aqueste dinamiche internazio­nali va aggiunta la storia del nostro Paese. Mani pulite, nei primi anni Novanta, segna un punto di non ritorno nell’opinione pubblica. Alla giusta sanzione di comportame­nti specifici e alle riforme necessarie del sistema partitico si sostituisc­e un giudizio apocalitti­co e finora irreversib­ile sulla rappresent­anza politica: corrotta per definizion­e, fonte di sprechi e in definitiva inutile. Il consolidam­ento di questa percezione, da allora fino a oggi, ha avuto effetti devastanti sulla qualità del reclutamen­to e della rappresent­anza politica, scoraggian­do ampi settori della società dall’impegno politico e allontanan­done le nuove generazion­i. L’effetto inevitabil­e è la selezione negativa che abbiamo oggi sotto i nostri occhi: leggi confuse e mal scritte, e in generale una rappresent­anza politica che attira perlopiù persone senza esperienza e con scarsissim­a preparazio­ne politica. Basta un’occhiata ai curricula della legislatur­a eletta nel 1992 per un confronto impietoso con quella attuale. Il punto naturalmen­te non è l’istruzione formale: abbiamo avuto grandi politici poco scolarizza­ti, ma che avevano l’umiltà di scegliersi collaborat­ori competenti e di ascoltare i loro consigli, anziché rendersi ridicoli quotidiana­mente con dirette Facebook. Il referendum non fa che trarre le logiche conseguenz­e di questa tendenza: se i rappresent­anti politici sono impreparat­i e inutili, perché non ridurli? Anzi, perché non eliminarli del tutto? Purtroppo in numerose circostanz­e la politica ha fatto del proprio meglio (anzi, peggio) per consolidar­la. Ma ridurre o addirittur­a rinunciare alla rappresent­anza del proprio territorio è una medicina peggiore dei mali, e non risolverà, anzi continuerà ad aggravare, quella distanza tra società, economia e politica che è una delle cause profonde dei problemi del nostro Paese.

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