LA QUALITÀ DELLA POLITICA
Per inquadrare meglio il senso del voto referendario sulla riduzione del numero dei parlamentari è importante capire bene le radici profonde di questa iniziativa. Queste radici non vanno ricercate nel presente, né nella proposta specifica che viene dai 5 Stelle. Vanno invece ricercate in un percorso che dura ormai da quasi tre decenni di atteggiamento critico dell’opinione pubblica verso la politica e i suoi esponenti. Per interpretarlo, gli storici della politica risalgono spesso alla caduta dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est e alla deideologizzazione della politica che è seguita a quel crollo: la convinzione, più o meno esplicita, che non vi fosse quasi più bisogno di politica nel momento in cui il mondo pareva convergere nella direzione delle democrazie liberali. Lo sviluppo frenetico del commercio globale ha contribuito ad accentuare questa tendenza, relegando, almeno apparentemente, le scelte politiche in secondo piano rispetto alle dinamiche finanziarie. Anche lo sviluppo delle tecnologie digitali non ha avuto un ruolo trascurabile. La donna e l’uomo del XXI secolo, sentendo di avere a portata di mano ogni sorta di informazione o risposta, hanno difficoltà a tollerare che vi sia qualcuno più preparato di loro a prendere decisioni per conto loro, nemmeno se delegato sulla base di un voto democratico. Un tempo blandamente e selettivamente esposti ai mezzi di comunicazione di massa, oggi attraverso i social i rappresentanti politici possono essere scrutati, analizzati e criticati.
Aqueste dinamiche internazionali va aggiunta la storia del nostro Paese. Mani pulite, nei primi anni Novanta, segna un punto di non ritorno nell’opinione pubblica. Alla giusta sanzione di comportamenti specifici e alle riforme necessarie del sistema partitico si sostituisce un giudizio apocalittico e finora irreversibile sulla rappresentanza politica: corrotta per definizione, fonte di sprechi e in definitiva inutile. Il consolidamento di questa percezione, da allora fino a oggi, ha avuto effetti devastanti sulla qualità del reclutamento e della rappresentanza politica, scoraggiando ampi settori della società dall’impegno politico e allontanandone le nuove generazioni. L’effetto inevitabile è la selezione negativa che abbiamo oggi sotto i nostri occhi: leggi confuse e mal scritte, e in generale una rappresentanza politica che attira perlopiù persone senza esperienza e con scarsissima preparazione politica. Basta un’occhiata ai curricula della legislatura eletta nel 1992 per un confronto impietoso con quella attuale. Il punto naturalmente non è l’istruzione formale: abbiamo avuto grandi politici poco scolarizzati, ma che avevano l’umiltà di scegliersi collaboratori competenti e di ascoltare i loro consigli, anziché rendersi ridicoli quotidianamente con dirette Facebook. Il referendum non fa che trarre le logiche conseguenze di questa tendenza: se i rappresentanti politici sono impreparati e inutili, perché non ridurli? Anzi, perché non eliminarli del tutto? Purtroppo in numerose circostanze la politica ha fatto del proprio meglio (anzi, peggio) per consolidarla. Ma ridurre o addirittura rinunciare alla rappresentanza del proprio territorio è una medicina peggiore dei mali, e non risolverà, anzi continuerà ad aggravare, quella distanza tra società, economia e politica che è una delle cause profonde dei problemi del nostro Paese.