Corriere di Bologna

La paura che vinca Trump

Johns Hopkins University

- di Fernando Pellerano

Sullo sfondo delle presidenzi­ali alla Johns Hopkins c’è un’atmosfera ovattata. Pochi studenti in giro, è la settimana degli esami. L’università americana, presente sotto le Due Torri da 65 anni, va avanti nella sua tripla «bolla»: quella della didattica, quella anti Covid e quella di una battaglia politica, aspra e divisoria, che questa sera culminerà nella tradiziona­le maratona elettorale.

«Gli elettori di Trump seguiranno la Fox, gli altri tutte le restanti television­i», racconta uno studente. Uno dei pochi a parlare, la maggioranz­a preferisce tacere o salutare, «no comment, bye bye». L’atmosfera in verità è anche molto tesa. Non si vede fuori, ma si sente dentro. «Sono presidenzi­ali particolar­i», spiega il professor Harper, 40 anni di docenza e residenza a Bologna, «chi vota Trump non lo dice perché qui da noi quasi tutti gli studenti sono liberal, se non di sinistra: chi studia all’estero ha già una mentalità aperta al mondo». Ragazzi che credono nelle istituzion­i, nel governo, nello Stato.

Sono 111 gli americani che studiano in via Beniamino Andreatta. Hanno votato tutti, per posta o via fax (con liberatori­a). Qui il risultato sarebbe scontato. «Invece, per quello negli States c’è grande ansia: si teme che finisca come nel 2006 fra Bush e Gore col conteggio delle schede», dice Harper. «All’alba non sapevamo ancora come sarebbe andata a finire, in tanti pensano che sarà così anche questa volta», dice il direttore amministra­tivo Bart Drakulic, in città dal 2000. A causa del Covid, per la prima volta alla Hopkins non ci sarà la tradiziona­le nottata in sede davanti alla tv, con sacchi a pelo, coca cola e pizza, per seguire in diretta i risultati elettorali. «Tutti a casa sui loro computer, in streaming». E per ovvi motivi niente ritrovi alle Stanze o alle Scuderie, i «loro» locali. Per fortuna domattina le prime lezioni inizierann­o alle 10.

La preoccupaz­ione è crescente. Ai sondaggi che danno vincente il candidato democratic­o credono in pochi: troppe variabili per un sistema elettivo che si basa sugli stati e sui delegati. «Ci sono due americhe che sono talmente distanti fra loro che pur essendo nella stessa sala guardano due film diversi. Questo perché ci sono due narrazioni opposte, costruite ad hoc. Tutto dipende da con chi stai e quindi da chi preferisci avere informazio­ni», spiega Drakulic. «L’elettorato giovane è per Trump, ma quello istruito è per Biden», dice Harper, «Trump ha dei veri e propri fan, per lo più maschi senza istruzione, ed è un grande trascinato­re un po’ come lo era Berlusconi qui da voi, ma senza il suo umorismo sebbene i suoi ridono quando attacca l’avversario con malizia». Biden è tutto il resto (e «scalda» il giusto). La cosa vale anche riguardo alla questione razziale. O di qua o di là.

Tutto è in bilico, tutto è possibile. «Il ricordo di come andò nel 2016 è ancora vivo», chiosa Harper. Alla Hopkins s’incrociano le dita. «Per scaramanzi­a pochissimi scommetter­ebbero su Biden». Hopkins «dem» e molto attenta ai protocolli anti Covid, «che sono più stringenti di quelli nazionali: distanza 1 metro e 40, mascherina in ogni istante, luci ultraviole­tte nell’aria condiziona­ta, su segnalazio­ni di immuni e personali». E finora nessun positivo. Basta non farlo sapere a Trump.

” Qui da noi quasi tutti gli studenti sono liberal, se non di sinistra: chi studia all’estero ha già una mentalità aperta al mondo

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