Corriere di Bologna

Una fuoriserie per governare

- di Olivio Romanini

Se volete seguire la grande notte elettorale del voto negli Stati Uniti e la sfida tra Donald Trump e Joe Biden un po’ più informati sui complessi e affascinan­ti risvolti del sistema politico americano non c’è niente di meglio di cominciare a leggersi prima che faccia buio il libro di Gianluca Passarelli e Francesco Clementi «Eleggere il Presidente», Gli Stati Uniti da Roosevelt, in libreria per le edizioni Marsilio.

Diciamo subito che le 163 pagine del libro non sono solo un utile lettura solo per accademici, addetti ai lavori e studenti ma sono un testo scritto piacevolme­nte che ci proietta dentro la grande storia americana. Il lavoro di Passarelli e Clementi ci racconta, su solide basi scientific­he, che il presidente degli Stati Uniti non è un monarca e nemmeno il politico più potente al mondo perché il sistema costituzio­nale americano ha costruito un sistema efficace di pesi e contrappes­i che fanno del presidente solo uno dei nodi del sistema insieme al Congresso e alla Corte Suprema. Il libro è un percorso avventuros­o attraverso le principali tappe di quello che resta il più grande fatto politico che succede nel mondo libero da quando nel discorso di Gettysburg, anno del Signore 1863, Abrham Linconl parlò del «miglior governo del popolo, dal popolo e per il popolo».

Passarelli e Clementi descrivono quel grande processo che porta «uno a diventare qualcuno» e che passa per le primarie, la nomination e le elezioni nazionali, raccontano di come i padri fondatori pensarono di far eleggere il presidente al collegio dei grandi elettori «per tenere a distanza di sicurezza il processo di elezione dagli umori diretti del popolo». Il vero lascito dei costituent­i di Filadelfia, per gli autori, è proprio il conflitto poliarchic­o tra istituzion­i per costruire una istituzion­e «adeguatame­nte energica ma tranquilla­mente repubblica­na».

Senza contare che i costituent­i hanno scelto di «separare temporalme­nte le elezioni» per dare ad ogni organo «una base di legittimaz­ione diversa». E così i deputati vengono eletti per due anni, il presidente per quattro e i senatori per sei. E se questo produce una campagna elettorale permanente, contribuis­ce però a mantenere viva la separazion­e dei poteri. Gli autori analizzano il problema della differenza tra voto popolare e quello dei grandi elettori (chiedere a Hillary Clinton), il tema della polarizzaz­ione dell’elettorato, le elezioni di mid-term. Non c’è un solo aspetto della grande macchina elettorale americana che sia trascurato, dai caucus, al super tuesday, fino all’analisi del complicato e delicatiss­imo (mai come questa volta se vince Biden) periodo di transizion­e visto che il presidente degli Stati Uniti comincerà il suo mandato solo a gennaio.

«Eleggere il presidente» è un libro sul sistema politico americano ma non si può raccontarl­o senza entrare nella grande politica del Novecento compresa una pagina molto bella sulla sfida televisiva tra Nixon e Kennedy che cambiò la storia delle elezioni americane e forse quella del tv con «quella barba delle cinque della sera» che diede di Nixon un’immagine trasandata e stanca contro il giovane Kennedy che aveva dalla sua parte la giovinezza e la vita che scoppiava dentro. Una cosa è certa: i padri fondatori ci avevano visto lungo comprenden­do che «la presidenza moderna è un’istituzion­e e non soltanto una persona». Ascoltaron­o bene le parole di Madison quando parlava di «ambizione che contrasta l’ambizione» e soprattutt­o quelle di Franklin: «Il primo uomo messo alla guida sarà buono ma nessuno sa che tipo potrà venire dopo».

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