Archivi e marchio Rcdc al Comune
Open ha detto sì all’assessore Lepore. La storica emittente cambia nome
Ora si può dire: si è chiusa ufficialmente l’era di Radio Città del Capo. Da domani si chiamerà MeltingPod Radio e si occuperà di produzioni podcast e di contenuti multipiattaforma, in collaborazione con Be Open, l’agenzia di comunicazione di Open Group ovvero della proprietà dell’emittente dal 2012. È in quel momento che Radio Città del Capo s’avvierà lentamente a scomparire. La coop ha concesso al Comune, come chiesto dall’assessore Lepore, marchio e archivi.
Ora si può dire: si è chiusa ufficialmente l’era di Radio Città del Capo. Da domani si chiamerà MeltingPod Radio e si occuperà di produzioni podcast e di contenuti multipiattaforma, in collaborazione con Be Open, l’agenzia di comunicazione di Open Group ovvero della proprietà dell’emittente dal 2012. È in quel momento che Radio Città del Capo s’avvierà lentamente a scomparire, perdendo il suo patrimonio di ascolti e soprattutto di abbonati/sostenitori, un migliaio di fedelissimi. Un oblio rallentato solo per la notorietà del marchio costruito negli anni ’90 e nei primi 2000.
Open Group, che il 23 ottobre ha risolto intricate questioni legali (e di soldi) con l’ex socio Renato Truce della coop Mandragola a cui aveva esternalizzato nel 2017 l’emittente, non chiarisce quando e come ci sarà lo switch (il sito tace). Per ora e da mesi in onda c’è solo il segnale di Popolare Network, ma sarà confermata la storica liaison se invece dei gr ci saranno dei podcast?
Su richiesta poi dell’assessore alla cultura Matteo Lepore, Open Group donerà al Comune il marchio e l’archivio storico di RCdC: dopo otto anni di fallimentare gestione ecco il beau geste. Poca roba, dato che il marchio non è registrato (domani chiunque potrà chiamarsi in quel modo). Idem per l’archivio, ridotto a poca cosa: manifesti, volantini, fotografie e qualche registrazione. Negli anni ’90 in pochi archiviavano, e i materiali d’informazione e d’inchiesta li hanno conservati i singoli giornalisti. Così come quelli dei programmi più noti che peraltro non appartengono alla testata ma agli autori. Quello che c’era, come ad esempio il lavoro fatto su Ustica, è sparito perché Open non ritenne conveniente pagare 50 euro l’anno al server che custodiva quei materiali.
Particolari noti al neo presidente di Open, Giovanni Dognini, fautore della fusione del 2012 quando era dentro alla radio, tant’è che dopo l’opera di convincimento interno fu eletto presidente della coop di giornalisti Not Available, allora proprietaria di RCdC. Dettagli, l’importante è far passare l’idea che non è un finale così disastroso. Anche non aver mantenuto il nome della radio rientra in questa politica di apparente «sensibilità».
Stessa cosa sul fronte dei lavoratori. «La salvaguardia dei posti di lavoro è sempre stato l’obiettivo prioritario di Open Group», dice Dognini, l’unico del «gruppo storico» (sebbene aggregatosi dopo), ad averlo mantenuto abbandonando subito le funzioni radiofoniche ed entrando, vista la dote portata, nel board di Open. Certo, dei cinque redattori assunti dopo il 2012 e in questi mesi in cassa integrazione, tre produrranno podcast, mentre due hanno trovato altri datori. Insomma, il minimo.
Resta il fatto che la soppressione di una voce fino a pochi anni fa autorevole e alternativa è avvenuta tutta dentro al mondo cooperativo (con tanto di promozioni: l’ex presidente di Open, Roberto Lippi, è ora vice di Lega Coop). Tutte le storie prima o poi finiscono, vero. Ma potrebbe non finire qui, perché fino «a ieri» l’intenzione era di vendere la frequenza di 96.3 fm: trattative saltate con Dm Broadcast e altri imprenditori, mancata fusione/cessione con Radio Città Fujiko (un terreno sondato da un’ex dipendente di RCdC) e così via. Vendere a 150 mila euro un asset mai ritenuto davvero strategico e acquisito a costo zero nel 2012 può venire utile prossimamente, magari dopo le elezioni amministrative.