Centi, poesia della contestazione
«Il diario dell’eroe» raccolta di scritti per lo più inediti dell’intellettuale che attraversò Bologna negli anni ‘70-’80-’90
Nel testo anche ricordi. Wu Ming: «Era buono, pareva disegnato da Pazienza»
Visse di poesia. Con un disordine creativo mosso da un’irriducibile visionaria ansia di nuovi mondi. Gilberto Centi, aquilano, classe 1947, scomparso nel 2000, attraversò la Bologna degli anni ’70, ’80, ’90, registrando nella sua carne e nelle sue pagine la fine del Movimento del ’77, l’esaurirsi della ribellione, senza mai arrendersi all’«infame buon senso», come lo chiamava il fratello maggiore Majakovskij. Negli anni del riflusso fece della poesia il suo breviario politico ed esistenziale: non intendendola come lirica distanza, ma come militanza, presenza del corpo, roca voce a microfoni notturni di radio antagoniste, letture per osterie e centri sociali, scritti su fanzine e riviste di tendenza, sempre «contro».
Per raccogliere le forze di una città rosa dal disincanto e in parte persa nell’eroina, promosse perlomeno due «censimenti poetici»: il primo tra 1990 e 1991, nei tempi della «Pantera», produsse un’antologia pubblicata da una delle riviste a cui collaborava, Mongolfiera; l’altro nel 1996, fruttò la pubblicazione Voci di poesia, nel tempo in cui il lavoro sottotraccia degli anni del grande silenzio stava producendo nuovi fermenti. In quest’ultima antologia Centi raccoglieva circa 2.500 voci, presentate in letture al Link di via Fioravanti, a testimonianza di come Bologna fosse «città di sottile ma instancabile immigrazione – dove dunque le lingue si incontrano e si fondono». «Bologna si sta fermando… ma è una città strana… uno snodo… gira energia… moltissima… senza controllo… è un transito continuo», diceva a Stefano Massari, uno dei poeti scoperti in quel censimento.
Di Gilberto Centi giovedì Pendragon pubblicherà un volume con testi editi e inediti intitolato Il diario dell’eroe. È curato da Vincenzo Bagnoli che ha riunito molte sue poesie e prose poetiche per lo più inedite, che guardano all’universo beatnik, sia per il ritmo ora franto ora diluviale, sia per le accensioni visionarie e il rifiuto della borghese normalità. Ci sono due raccolte,
Il diario dell’eroe appunto e Lavori in corso, titolo che dà bene l’idea dell’atteggiamento sempre sperimentale, nel fluire, di Centi. Ma contiene anche un bellissimo diario di viaggio e altri scritti in prosa, nonché un ricordo di Augusto Daolio dei Nomadi che inizia così: «No. Noi non ci saremo davvero, carissimo Augusto, quando il Sogno o l’Ecatombe travolgeranno il mondo». È incastonato tra due vivide interviste a due simboli della Bologna di quegli anni, Claudio Lolli, con una deliziosa parte dedicata ai cani, e Roberto Roversi. Il poeta anziano scriveva di Centi: «Era un giovane alto, giocoso, con continui risvolti di puntuta ironia che arrivava nei giudizi in corsa, spesso, a una violenta demolizione». E questo ricordo del 2004 apre il volume, che contiene una nota ai testi di Vincenzo Bagnoli e una introduzione di un compagno e mentore di militanza, Valerio Monteventi, che colloca la figura del poeta, che viveva in uno stambugio in via del Fossato, in quegli anni e nelle tensioni che attraversavano Bologna. Altri ritratti si trovano alla fine del volume, che contiene anche i testi di alcune performance con musiche. I Wu Ming così descrivono il poeta, tra i primi a dedicare un libro al fenomeno dei Luther Blisset, nome collettivo di azione politica e artistica contro la società dello spettacolo e contro la crescente personalizzazione: «Gilberto era un buono, almeno quanto era brutto, con quel nasone, i capelli schiacciati, magro e sempre curvo. Pareva disegnato da Andrea Pazienza». Lo ricordiamo spigoloso. Con un cappotto o una giacca troppo larghi. Sempre presente, mai presenzialista, impegnato a decifrare i segni dei tempi nel loro fluire più misterioso e necessario.