Corriere di Bologna

Il miraggio della città «più adatta a vivere una giovinezza epicurea» nell’esordio di Ruggiero

«La grande stagione» vista da un giornalist­a

- Piero Di Domenico © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Abita in una casa al quinto piano, all’angolo tra via Fondazza e via San Petronio. Dalla sua stanza scorge la continua distesa di tegole e tetti del centro storico, che si dirada poi verso i colli, segnati invece da alberi e tralicci di ripetitori. Di sera, poi, i profili delle due torri, gli Asinelli, «sottile, quadrata come un fiammifero, con una luce rossa in cima», e la Garisenda, «una torre fragile, sorvegliat­a dai sensori dell’Istituto di vulcanolog­ia per evitare che faccia scherzi». Anche se per lui le torri di Kenzo Tange in Fiera sono l’architettu­ra più bella della città. Il quasi trentenne Livio, studente uscito «dalla placenta friulana», fuori sede a Bologna, è il protagonis­ta de La grande stagione. Romanzo d’esordio, uscito per Castelvecc­hi, di Paolo Ruggiero, giornalist­a e fotografo cresciuto in Friuli che a Bologna negli anni ‘90 ha studiato Scienze politiche e che oggi vive a Parigi. Il protagonis­ta delle 313 pagine è colto al tramonto della sua stagione universita­ria, anche se l’idea di mettersi a cercare un lavoro gli dà una sottile nausea. Perché «a Bologna, più che altrove, giungere alla fine dell’esperienza universita­ria può fare male. In questa città può essere un trauma constatare un giorno, come tutti, che non è possibile restare giovani a oltranza».

A Bologna era arrivato come tanti, irretito dalla sua fama da «città dei balocchi». Dopo accesi confronti con gli amici, aveva maturato la convinzion­e che «la città dove puoi goderti di più la vita, se hai tra i venti e i trentacinq­ue anni, ce l’abbiamo sotto i piedi, è proprio Bologna. La città d’Europa più adatta a vivere una giovinezza epicurea, libertina, sensuale». Proprio come quella che Livio insegue grazie a una città complice: «Di giorno i toni caldi possono affaticare, dopo tanti anni vorresti più trasparenz­e, acciaio, vetro. Ma la notte Bologna riesce ancora a stupirti, sulla sua complicità ci puoi contare». Una città in cui, ha scritto il critico Renato Barilli recensendo quello che ha definito un «autoromanz­o», «Livio si aggira sia per ragioni di studente, sia per la disperata ricerca di un impiego, intento anche a soddisfare i bisogni primari del cibo e del sesso».

Con una narrazione che consente quasi di ricavarne «una guida per appetiti solidi e nello stesso tempo non sostenuti da adeguate risorse economiche. Lo stesso, e anche più, si dica per gli appetiti carnali». La scrittura di Ruggiero lascia trasparire una costante trama musicale e la sua profonda passione per la fotografia, che si riverbera anche nel suo alter ego: «Sono convinto che vedere le cose con uno sguardo “fotografic­o” porti a raccontare meglio, a trovare sintesi e equilibrio anche nella scrittura».

Dopo la laurea, quando Bologna sembra ormai «statica, ingiallita come un affresco», Livio troverà lavoro in un’agenzia pubblicita­ria. Prima di trasferirs­i a Parigi e poi partire verso un’isoletta greca delle Cicladi, sempre alla ricerca di una spiegazion­e sull’incidente di volo in cui da bambino ha perso il padre pilota. Il romanzo, che si apre con citazioni del prediletto Albert Camus, di Dino Campana e Filippo Scòzzari, «Una città non ti dà nulla se non sai come mungerla», non è però legato solo a un periodo specifico della vita. È piuttosto, come lo definisce Ruggiero stesso, «un ritorno del sole sui propri giorni, della voglia di mordere la vita e di goderne appieno. Non un banale edonismo, ma una “joie de vivre”, una gioia dei sensi e del viaggio, cui è giusto ambire fino alla fine».

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Debutto Paolo Ruggiero, giornalist­a freelance, vive a Parigi

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