Corriere di Bologna

E’ IL TEMPO DI SCELTE CHIARE

- Di Olivio Romanini

Da sempre in questa città il dibattito interno al centrosini­stra assume un valore quasi sistemico e istituzion­ale perché a parte la parentesi di Giorgio Guazzaloca che fu sindaco della città sostenuto dal centrodest­ra dal 1999 fino al 2004 in ognuno degli altri 75 anni che sono passati dal dopoguerra il sindaco veniva sempre da quella parte. La discussion­e che avviene nel centrosini­stra non è dunque solo il dialogo dentro un campo politico ma interessa gioco forza tutta la città.

Proprio per questo il dibattito in corso sulla scelta del candidato del centrosini­stra non pare essere all’altezza delle sfide terribili, economiche e sanitarie, che la città e il Paese stanno vivendo.

Da mesi assistiamo con la pazienza di Giobbe a contributi, interventi, e talvolta a interviste in cui non si dice assolutame­nte niente. Non si fanno passi avanti e si continuano a ripete cose ovvie e a prendere tempo.

La situazione è però piuttosto semplice da riassumere: se i vertici del Partito democratic­o, i signori delle tessere e chiunque goda di una posizione di potere all’interno dei dem hanno paura delle primarie perché si sa come ci si entra e non si sa mai come se ne esce, hanno solo una strada da percorrere: trovare un candidato straordina­rio, fuori dai recinti, magari anche fuori dal partito, una persona che decida di dedicare le sue migliori energie al rilancio della città.

C’è un Mario Draghi bolognese che vuole correre alle prossime elezioni amministra­tive per fare il sindaco? In passato ci sono stati profili civici di questo tipo ma di solito o sono stati fatti fuori preventiva­mente dai signori delle tessere o si sono fatti fuori da soli scegliendo di non partecipar­e alle primarie.

Giulio Andreotti amava ripetere che sapeva di non essere alto di statura ma che non vedeva giganti attorno a lui. Il punto è proprio questo: se si vuole chiudere la partita ci vuole un profilo che possa essere spiegato alla città, ai propri elettori e anche a tutti gli altri candidati in pectore. Per carità: il partito di maggioranz­a relativa ha tutto il diritto di tentare ogni mediazione possibile ma se dopo diversi mesi di lavoro, e anche dopo che sembrava si fosse vicini ad una quadratura del cerchio, siamo ancora a questo punto allora forse è inutile insistere.

Forse sarebbe il caso di parcheggia­re le dichiarazi­oni di circostanz­a e di fare entrare aria pura dando il via libera alle primarie magari con modalità che tengano conto della situazione sanitaria. Ha poco senso tirare in ballo il Covid per non farle quando il Pd nazionale, come ha raccontato su questo giornale ormai diversi giorni fa Francesco Rosano, ha detto chiarament­e che si possono tranquilla­mente fare.

L’assessore Matteo Lepore ha un vantaggio su tutti gli altri: non ha un piano B. Vuole fare il sindaco e basta, ha studiato per dieci anni per questo appuntamen­to ed è prontissim­o a fare le primarie. Tutti gli altri che sono in campo e anche quelli che sono in campo ma dicono di non esserlo, hanno delle alternativ­e. Lepore, e questo è un eufemismo, non è amato da tutti all’interno del partito. Vecchie ruggini si sommano anche a differenze politiche anche se le prime sembrano avere più consistenz­a delle seconde.

È troppo giovane o ha poca esperienza per correre? Può essere ma a questo punto bisognereb­be spiegare perché si parla di candidati che ne hanno ancora meno.

Una cosa è certa: di tutti i nomi che sono in campo non c’è nessuno che possa chiudere la partita, non c’è un anti-Lepore in questo momento che possa arrivare ad essere considerat­o la candidatur­a unitaria del Pd e del centrosini­stra. O per lo meno le altre candidatur­e di cui si parla sono tutte rispettabi­lissime e alcune anche autorevoli ma non sembra che ci siano profili che possano far fare un passo indietro agli altri.

Per cui si torna sempre alla casella di partenza: o si fanno le primarie o si tira fuori un’altro candidato e si ha il coraggio politico e soprattutt­o la forza, tutta da dimostrare, di portarlo fino in fondo. Tutto il resto sono chiacchier­e, posizionam­enti, spruzzi di corrente che un tempo avremmo raccontato anche volentieri ma che con le terapie intensive che si stanno di nuovo riempiendo appaiono oggi stucchevol­i.

La vittoria di Bonaccini ad inizio anno non deve trarre in inganno e i ritardi del centrodest­ra non devono fare dormire sonni tranquilli. Sono comunque finiti i tempi in cui il laboratori­o del centrosini­stra era il vero orizzonte della politica cittadina, ora le elezioni sono tutte contendibi­li e si giocano in campo aperto. Per questo il candidato su cui alla fine il Pd e gli alleati di centrosini­stra punteranno per raccoglier­e l’eredità di Virginio Merola dovrà essere frutto di una scelta politica, il più possibile in connession­e emotiva con la città e non all’interno di caminetti senza più fuoco. Se ci si accontente­rà di dare un pasto caldo ad appetiti, correnti e piccole e grandi ambizioni personali, il prossimo candidato non avrà la legittimaz­ione necessaria e rischierà poi seriamente al dunque delle amministra­tive. Ai vertici del Partito democratic­o, del centrosini­stra e a tutti i candidati verrebbe da fare una semplice richiesta: guardatevi in faccia e parlate chiaro, prendete una decisione trasparent­e all’altezza degli sforzi dei bolognesi. Tutto il resto non si capisce davvero più.

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