Corriere di Bologna

Uccisa e bruciata, la sorella di Atika: «Il compagno chiamava e rideva»

- An.B.

«Ho trovato mia sorella nel bagno sanguinant­e, con il collo tutto rosso e graffiato come se lui avesse cercato di strozzarla. Mi disse “per fortuna che sei arrivata, mi stava soffocando con un cuscino”». A raccontare l’ultimo mese di vita di Atika Gharib, è stata sua sorella Khadija ieri mattina davanti alla Corte d’Assise che sta processand­o il 42enne M’hamed Chamekh per il brutale omicidio della donna, soffocata e poi arsa in un casolare a Castello d’Argile il 2 settembre 2019. La donna ha ripercorso in aula un mese di vessazioni e persecuzio­ni subite dall’uomo, che la vittima aveva cacciato di casa quando, il 2 agosto, lui aveva palpeggiat­o la figlia 15enne di lei. Da quel giorno più volte Atika e sua sorella erano state dai carabinier­i di Ferrara, dove vivevano, e avevano chiamato le forze dell’ordine quando lui si ripresenta­va a casa, ma le denunce non riuscirono a fermarlo in tempo. Il divieto di avviciname­nto e l’ordine di rintraccio emesso dalla Procura non fu mai notificato. «Un giorno, tornando con i carabinier­i a casa, — ha raccontato la donna — lo abbiamo trovato nel letto a dormire, lo hanno portato via ma mentre andava diceva ad Atika “io ti uccido”». Stesso tenore dei messaggi vocali che secondo la sorella la vittima le fece ascoltare, in cui l’uomo minacciava: «Da oggi prega Allah perché morirai, hai le ore contate, appena ti trovo ti uccido». Il presidente della Corte d’Assie Domenico Pasquariel­lo ha disposto una perizia psichiatri­ca sull’imputato, su richiesta della difesa, affidata allo psichiatra Renato Ariatti, che dovrà stabilire la capacità di intendere e di volere al momento del fatto e la capacità di stare in giudizio. La vittima aveva due figlie, oggi di 18 e 17 anni, affidate alla zia. «Fino a poco tempo fa la minore non riusciva ancora a credere che la madre non sarebbe tornata mai più» ha detto la sorella.

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