Maccaferri, il fondo vuole tutto
Taconic su Seci. Così uscirebbe di scena la più antica famiglia industriale bolognese
La più antica famiglia industriale bolognese sta per cedere il passo a un fondo. Taconic è vicina alla chiusura dell’operazione su Seci, la holding della famiglia Maccaferri finita in concordato.Il fondo punta al 100% della società. Oggi intanto è il giorno dell’asta per Samp.
La più antica famiglia industriale bolognese sta per cedere il passo a un fondo. Taconic è vicina alla chiusura dell’operazione su Seci, la holding della famiglia Maccaferri finita in concordato. Il piano dovrebbe essere pronto entro la fine dell’anno per poi essere presentato ai commissari e, infine, il passaggio in Tribunale. Il fondo punta al 100% della società, resta da capire se la famiglia deciderà di restare con una quota di minoranza o lascerà il gruppo nato più di un secolo fa. I Maccaferri sono assistiti dallo studio Bonelli Erede mentre Taconic ha scelto, tra gli altri, Matteo Tamburini, notissimo professionista bolognese dello studio Gnudi.
In queste settimane i consulenti del fondo hanno bussato agli uffici di tutte le società coinvolte e anche a quelli dei commissari nominati dal Tribunale. Il piano di Taconic prevede il rimborso del bond da 90 milioni emesso a gennaio 2019 e garantito dal 51% delle quote del Sigaro Toscano. L’obbligazione è stata sottoscritta dai soci di minoranza di Manifattura Sigaro Toscano: Mcg holding della famiglia Montezemolo,
Gnudi ha suggerito a Taconic il dossier Seci, nel fondo un manager che si è formato in città
Comimpresa di Aurelio Regina, Antelao di Piero Gnudi e Aragorn value leadership di Francesco Valli. Dieci milioni del bond sono stati sottoscritti da Seci quindi almeno quella quota non andrà ripagata. Ai tempi era per gli altri soci la massima garanzia della solidità del gruppo.
Così non è andata. Il bond era stato lanciato dopo la mancata quotazione del Sigaro per lenire la crisi di liquidità di Seci. In quel periodo, tra l’altro, la famiglia Maccaferri avrebbe anche bussato al fondo Elliott che avrebbe garantito il finanziamento con un tasso, però, assai elevato, circa il 12%. Alla fine, i soci del Sigaro avevano deciso di aprire il portafogli. Il resto è storia: la richiesta di concordato e i rapporti ormai azzerati tra i Maccaferri, Gnudi e Montezemolo. Tanto che la vicenda avrebbe avuto anche uno strascico legale a Milano che, stando a indiscrezioni, sarebbe rientrato.
Nelle scorse settimane era emersa la possibilità che fossero proprio l’ex ministro e l’ex numero uno della Ferrari a farsi avanti per salvare Seci. In realtà, a quanto risulta, sarebbe stato Gnudi a suggerire a Taconic di guardare al dossier della Società Esercizi Commerciali Industriali, la holding nata nel 1949 per coordinare le centinaia di aziende del gruppo Maccaferri.
Il «bolognese» del fondo è Piergiorgio Lo Greco, laureato all’Alma Mater, residente a Londra e già manager della Cheyne Capital Management.
Nelle scorse settimane è diventato responsabile per l’Italia del fondo creato nel 1999 dagli ex Goldman Sachs, Frank Brosens e Ken Brody che gestisce più di 7 miliardi di asset in giro per il mondo. Secondo quanto scritto da Bloomberg, Taconic ha deciso di lanciare un terzo fondo dedicato all’Europa alla ricerca di imprese in crisi. Nel 2017 uno strumento simile raccolse circa 600 milioni. Ora Seci potrebbe essere il primo investimento. Nelle scorse settimane era circolata l’ipotesi di un prestito da 90 milioni che i Maccaferri stavano discutendo con Taconic. Ora lo schema sarebbe diverso: il fondo entrerebbe per comandare e vorrebbe rilevare il 100% del gruppo.
Dalla quota di investimento e dal piano di cessioni dipenderà la percentuale che verrà liquidata agli altri creditori. Detto dei 90 milioni del bond, alle esposizioni di Seci andrebbero aggiunti circa altri 290 milioni di debiti, per la maggior parte nei confronti delle banche che spingono per la soluzione Taconic. Il conto, però, è complicato e i numeri precisi arriveranno solo con il piano.
Al momento Seci, oltre al 51% del Sigaro, raccoglie il cospicuo patrimonio della famiglia tranne quelle proprietà (la sede di via degli Agresti, il centro commerciale di Castel Romano, la sede romana di Seci, uno stabile di piazza Galilei, la sede di Samp a Bentivoglio e quella di Officine Maccaferri a Bentivoglio) spostate nel veicolo Sei e indisponibili in quanto al centro dell’inchiesta per bancarotta fraudolenta per distrazione che vede indagati, tra gli altri, i quattro fratelli Maccaferri.