Corriere di Bologna

L’ONORE DI UN ELETTO

- di Olivio Romanini

Non sono più i tempi in cui sui banchi di Palazzo d’Accursio, tra gli altri consiglier­i comunali, sedevano esponenti politici come Nino Andreatta e come Giuseppe Dossetti e se è per questo non sono nemmeno più i tempi dove le principali decisioni politiche e amministra­tive della città passano dall’assemblea degli eletti ma quello di consiglier­e comunale, soprattutt­o in una città come Bologna, resta un ruolo di cui va difesa fino in fondo l’onorabilit­à. Oggi è più facile fare notizia con un post su Facebook che con un brillante intervento di inizio seduta o peggio con una interpella­nza alla giunta o con un intervento nel dibattito che si apre quando si vota una delibera; per non parlare del lavoro di indirizzo e controllo che ad ogni consiglier­e comunale spetta nelle varie commission­i in cui si articola il lavoro del consiglio. Questa onorabilit­à non era stata difesa dalla pluricandi­data Lucia Borgonzoni nel corso del 2019 perché aveva avuto tempo di partecipar­e ad una sola seduta del consiglio comunale. Quest’anno però è riuscita, e non era sempliciss­imo, a fare peggio: in consiglio comunale non ci ha mai messo piede, né fisicament­e né virtualmen­te visto che, causa Covid, le sedute erano online.

Quando entri in consiglio comunale significa che alcuni cittadini ti hanno scelto, sono andati alle Comunali e hanno scritto il tuo nome sulla scheda: ti hanno dato un mandato da portare avanti.

Chi scrive ha avuto l’onore e il privilegio di vedere diversi insediamen­ti del consiglio comunale dopo le elezioni e molti neoconsigl­ieri entrare nella bellissima sala del consiglio pieni di entusiasmo e di idee. Poco importa se poi come succede anche in Parlamento si sarebbero scontrati con la difficoltà di essere incisivi e di portare a casa risultati. Avevano la luce negli occhi, l’orgoglio di essere stati scelti come rappresent­anti eletti dai cittadini. E spesso di fronte ad assessori nominati dal sindaco, magari un po’ arroganti, rivendicav­ano quella legittimit­à ricordando che loro, a differenza di alcuni membri della giunta, erano eletti dal popolo. Probabile che negli anni in cui ha frequentat­o quelle stanze Lucia Borgonzoni abbia qualche volta alzato gli occhi e abbia incrociato lo Stemma della città sorretto da due Virtù, quella della Concordia e quella della Fedeltà. Probabile che si sia pure emozionata. Non aver messo piede in Comune per due anni sarebbe grave di per sé, ma nel suo caso c’è un aggravante: forse non tutti si ricorderan­no ma questo è ancora il mandato iniziato con la sua candidatur­a a sindaco contro Merola cinque anni fa: detta in altre parole sarebbe ancora, mai condiziona­le è servito di più, il leader naturale dell’opposizion­e a Palazzo.

Ad inizio anno poi Borgonzoni si è candidata a presidente della Regione: ha promesso ai suoi elettori che sarebbe rimasta in Regione a fare l’opposizion­e nel caso di sconfitta e non ci è rimasta neanche un’ora ma qui siamo nel regno delle cose che dicono i politici e non fanno. Non presentars­i mai in consiglio comunale in un anno intero è qualcosa che ci proietta in un altro livello. Un tempo qualcuno si sarebbe alzato e avrebbe chiesto le sue dimissioni. Ma non ha nemmeno più senso chiederle a questo punto visto che tra pochi mesi verrà eletto un nuovo consiglio. In questi casi non resta che affidarsi al potere taumaturgi­co delle parole. Tipo quelle di Ennio Flaiano: «Non chiedetemi dove andremo a finire perché già ci siamo».

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