Lavoro, la crisi dimezza i redditi di giovani e donne
Indagine della Cisl su 46.103 lavoratori e pensionati e 25.078 dipendenti
Sono le donne e i giovani a pagare lo scotto della pandemia. Con redditi già praticamente dimezzati. A confermarlo è una indagine realizzata da Cisl e Caf Serv.E.R. su un campione di 46.103 tra lavoratori e pensionati e di 25.078 dipendenti nel territorio dell’area metropolitana bolognese. La fotografia, che poggia su dati 2019, allarma non poco il sindacato che col segretario generale Enrico Bassani delinea le priorità: rafforzare la pratica degli integrativi aziendali, prevedere un piano di investimenti, una politica di sostegno alle filiere, la riforma del fisco e l’incentivo alla formazione continua.
«Donne e giovani sono le fasce che stanno pagando il prezzo più alto dalla crisi — rileva il numero uno della Cisl bolognese — così come coloro che avevano o hanno rapporti di lavoro non stabili e spesso di scarsa qualità retributiva». Partite Iva e somministrati, in particolare. Uno scenario destinato a pegNon
” Bassani Servono investimen ti robusti, formazione continua, nuovo fisco E bisogna ampliare la contrattazione decentrata che, dove presente, porta a un aumento del reddito lordo di quasi 1.300 euro l’anno
giorare drasticamente in termini economici e sociali. Tre le condizioni che penalizzano le lavoratrici: l’orario di lavoro, le tipologie contrattuali «non permanenti» e le progressioni di carriera più lente.
Nell’area metropolitana le lavoratrici dipendenti a tempo determinato sono 35.280; il 22% delle dipendenti contro il 18,3% degli uomini. Le addette assunte a tempo indeterminato sono 123.771; il 77% del totale delle dipendenti contro l’81% degli uomini. La loro retribuzione è inferiore rispetto alla media pro capite totale del 21,88% e del 39,91% rispetto alla media totale maschile.
stanno però meglio i giovani. Le percentuali di dipendenti sono esigue: la fascia 25-29 anni è all’11,4% e la fascia 30-34 anni all’11,8%. Il loro accesso a posizioni lavorative più gratificanti è rallentato dai modelli organizzativi e culturali poco inclini all’innovazione. Il gap retributivo tra i 20-24 anni è pari al 44,8% in meno rispetto alla media reddituale complessiva mentre nella fascia 25-29 anni la differenza è pari al -32,51%.
In generale, però, non ci sono buone notizie per nessuno dei lavoratori dipendenti: il reddito medio pro capite è cresciuto di appena lo 1,97% dal 2017. «In questo quadro complicato ribadiamo — ricorda Bassani — la necessità di ampliare la contrattazione decentrata». Nel Bolognese la contrattazione di secondo livello coinvolge il 23,8% dei dipendenti e, dove presente, porta a un aumento del reddito lordo di quasi 1.300 euro l’anno. Ma non è tutto. «Servono — aggiunge il segretario — alleanze forti tra lavoratori, aziende, rispettive rappresentanze e istituzioni. E serve un piano di investimenti adeguato a una robusta politica industriale. I territori devono essere messi nella condizione di creare un maggior valore aggiunto dalle proprie vocazioni settoriali specifiche. Così come occorre la promozione di alleanze larghe per la definizione di un progetto di welfare territoriale diffuso, inserendosi in un più complessivo confronto per il riordino dei tempi delle città».
«È necessaria — rivendica infine Bassani, che ricorda il lavoro che il sindacato svolge nella stesura dei bilanci comunali — una riforma fiscale che riveda un sistema fiscale iniquo e sbilanciato e che sostenga le fasce più deboli». Vi sono poi le politiche attive per il lavoro e per la formazione continua: «Devono essere messe al centro dell’agenda di governo».