Trapianto di microbiota Al Sant’Orsola i primi 3 casi «È la nuova frontiera»
L’Irccs è uno dei 4 centri nazionali di riferimento
Ognuno di noi porta nell’intestino un chilo e mezzo di batteri, miceti e virus, un secondo cervello con cui conviviamo, una comunità «buona» che quando viene alterata provoca malattie e infezioni, ma quando è sana può aiutare altre persone a guarire. Parliamo del microbiota intestinale: al Sant’Orsola sono stati eseguiti il 30 giugno i primi tre trapianti su tre uomini di 40, 50 e 60 anni affetti da gravi infezioni intestinali resistenti agli antibiotici e a rischio di morte e il policlinico è stato riconosciuto dal ministero della Salute come uno dei quattro centri di riferimento nazionale per la pratica e lo studio di questa innovativa frontiera della medicina.
«Questa innovazione nei trapianti era inimmaginabile fino a poco tempo fa, è una frontiera che varchiamo per primi», rivendica l’assessore regionale alla Sanità Raffaele Donini. «Siamo di fronte a un’innovazione che ci proietta nel futuro, di cui forse ancora non comprendiamo a fondo la portata», afferma la direttrice generale del Sant’Orsola Chiara Gibertoni. «Segniamo un passaggio rilevante a livello internazionale», aggiunge il prorettore alla ricerca dell’Alma Mater Antonino Rotolo. «In un momento in cui vediamo ancora tanti scettici, oggi celebriamo la vittoria della scienza», commenta Giuliano Barigazzi, presidente della Conferenza socio-sanitaria metropolitana. L’entusiasmo è giustificato, perché come spiega il professore Giovanni Barbara, responsabile del trapianto, «si apre uno scenario importante per il futuro, perché il trapianto di microbiota intestinale potrà essere usato per tante malattie, dalle setticemie alle ulcere, dal morbo di Crohn alle malattie epatiche, dal diabete all’obesità, ma anche malattie cardiovascolari, oncologiche, ci sono studi perfino su malattie neurologiche».
Per ora questo particolare tipo di trapianto è consentito solo per la cura del Clostrudium difficile, un batterio refrattario agli antibiotici e che può causare la morte del paziente. Si tratta di una delle principali infezioni acquisite in ambito ospedaliero e la più frequente a carico dell’apparato digerente. I più colpiti sono gli anziani, in particolare lungodegenti od ospiti delle Rsa, e i malati cronici. L’efficacia del trapianto è oggi intorno al 90% per questi pazienti e aumenta la sopravvivenza complessiva di oltre il 30% a 90 giorni.
Ma come funziona? Come spiega il professore Vincenzo Stanghellini, responsabile del Centro di riferimento per il trapianto di microbiota intestinale, dalle feci di un donatore sano viene estratto un pacchetto di batteri, lavorati dai microbiologi e poi inseriti nell’intestino del malato in regime di colonscopia. Il trapianto, dunque, è di per sè tecnicamente molto semplice: la parte complessa è la preparazione pre-clinica e la selezione del microbiota sano da trapiantare. La procedura può essere ripetuta anche più volte sullo stesso paziente.
Per gli specialisti del Sant’Orsola il trapianto di microbiota sarà più efficace quanto più sarà personalizzato. L’obiettivo è individuare dei super-donatori sani e costituire una bio-banca per garantire le associazioni più efficaci coi pazienti. Per questo è stato acquisito dal Policlinico un sequenziatore ad hoc del valore di 100 mila euro, donato dal Gruppo Ima. Per diventare donatore basta avere tra i 18 e i 45 anni, essere sani e mandare la richiesta a www.aosp.bo.it/microbiota. Il donatore potenziale sarà sottoposto a una miriade di esami per verificare che sia davvero sano e quindi idoneo al trapianto.