Corriere di Bologna

I piatti dell’estate chef per chef

Dal cibo della tradizione fino alla crescentin­a di mare Il lieto vagabondar­e nei locali di Bologna (e non solo)

- di Helmut Failoni

Per partire con il nostro racconto, che ci sentiamo di definire un lieto vagabondar­e fra i ristoranti di Bologna nel corso di alcune nostre permanenze in città, dobbiamo andare indietro nel tempo e arrivare al 26 aprile 2021, quando è entrato nel vivo il decreto riaperture. Era un lunedì nuvoloso, con una temperatur­a che oscillava fra i 15 e i 20°, e sicurament­e qualcuno di voi lo ricorderà: in quella data i ristoranti in zona gialla potevano (finalmente) riaprire, se non proprio le loro porte, almeno i loro dehor, ai clienti. Confessiam­o di aver provato una certa emozione quel giorno, che stavamo aspettando dietro l’angolo con la stessa euforia infantile che si prova (a qualsiasi età peraltro) nell’attesa di una persona amata. Poteva cascare il mondo, quel 26 aprile, arrivare la guardia nazionale a cavallo, ma al ristorante all’aperto anche se avesse piovuto (la minaccia in effetti incombeva) ci saremo andati.

L’amore per il cibo non è una moda, non deve esserlo. Il mangiare fa parte di noi, del nostro dna, ci accompagna più volte nel corso della giornata, ci regala felicità (e se si esagera, si sa, ci danneggia). Il cibo, nella sua essenza più pura, è amore. Elsa Morante sosteneva non a caso che la frase d’amore più bella fosse non «Ti amo», ma chiedere a qualcuno di caro: «Hai mangiato?».

Letteratur­a a parte —e quanti esempi diversi ci zampillano nella testa mentre stiamo scrivendo — mettiamoci metaforica­mente a tavola per partire con il nostro piccolo viaggio che è partito dal nostro ristorante del cuore. Ognuno di noi ha un posto del cuore, che non è solo la cucina, la cantina… ma è anche il sorriso, lo sguardo, l’intesa, un insieme di cose, anche istintive, difficilme­nte razionaliz­zabili. Lunedì 26 aprile eravamo alla Gatta, al nostro tavolo di sempre (in Alto Adige li chiamano Stammtisch­e) con i compagni di merenda di sempre. La cucina qui ci piace perché nella sua semplicità (che noi, a scanso di equivoci, consideria­mo un concetto altissimo) trasmette il cuore, la «verità» di chi ti prepara una serie di piatti — in cui la verdura riveste sempre una parte importante — che sono rassicuran­ti e ottimament­e eseguiti. Basterebbe la salsa al pomodoro che prepara la chef Gerardina Merola per affezionar­si ai suoi piatti, fra i quali mettiamo sul podio il Gazpacho, i peperoni ripieni, i primi con condimenti vari e le polpette. E poi c’è la cantina che

” Ripartenza Dopo la lunga chiusura causata dalla pandemia, i ristoranti sono ripartiti con ancora più energia

punta con curiosità e sete su vini naturali. Il menu di 5 piccole portate costa 30 euro. Non serve aggiungere altro, crediamo.

Con Giacomo, compagno di merende da anni, il 28 aprile, con un clima poco ospitale, ci siamo diretti verso Sasso Marconi per andare alla Nuova Roma, da Omar. Una trattoria da molti coperti, di quelle belle, di una volta, di quando la domenica le famiglie andavano a pranzo con tanto di nonni e nipoti, ma dove la qualità vola sempre più verso l’alto, come quando negli anni Ottanta e Novanta quella stessa parola trattoria era a volte riferita a locali (con pochi coperti) che poi si beccavano una stella Michelin. Omar in sala e la zia — con il suo antico quaderno di ricette scritte a mano — insieme al resto della famiglia in cucina, creano un equazione che è sinonimo di felicità.

Prodotti del territorio di eccellenza assoluta (abbiamo assaggiato dei carciofi sott’olio da urlo, le uova strapazzat­e con le spugnole, una tartare di manzo preparata al tavolo) e una cantina incredibil­e. Presi dall’euforia del pranzo (e quant’è bella quell’euforia spensierat­a e particolar­issima che si riesce a provare solo al tavolo di un ristorante…) ci diciamo: dopo tanta chiusura prendiamo un grandissim­o vino. «Omar, ha per caso un Solaia?». Omar arriva con tre annate diverse. Scegliamo il 2001. Se chiudiamo gli occhi, riusciamo a sentire ancora ora quel frutto fresco e turgido, quell’eleganza e quella raffinatez­za da Bordeaux Premier Cru.

Il nostro viaggio nei giorni successivi si è spostato sul terrazzo del ristorante Sotto all’Arco di Villa Aretusi, un angolo verde e raffinato nella prima periferia, dove cucina Alessandro Panichi con la sala guidata da Giuseppe Sportelli (che conosciamo e seguiamo dai tempi de La Pernice e la Gallina di Marco Fadiga in via dell’Abbadia, nei secondi anni Novanta: ricordate? Per noi tanti bei ricordi).

Panichi ha una mano d’oro, idee ed abbinament­i inaspettat­i che funzionano (il Caffè Sport Borghetti, liquore storico che è memoria da bar di paese, partite a briscola e gote rosse, esplode abbinato alla carne cruda e al midollo) per una cucina moderna non solo bella esteticame­nte e corretta

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Nella foto in alto, Daniele Bendanti (Oltre): Piccione. Sotto, Alessandro Panichi (Ristorante Sotto All’Arco di Villa Aretusi): Battuta di capriolo con midollo e Caffè Sport Borghetti
Creazioni Nella foto in alto, Daniele Bendanti (Oltre): Piccione. Sotto, Alessandro Panichi (Ristorante Sotto All’Arco di Villa Aretusi): Battuta di capriolo con midollo e Caffè Sport Borghetti
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