Corriere di Bologna

I peluche, le stelline e i progetti spezzati

Il dolore di papà Vincenzo che l’aveva sistemata con le sue mani

- Muleo

«Ora è rimasto quel letto vuoto, le pantofole, l’arco e le frecce». Parla con un filo di voce papà Vincenzo mentre descrive la stanza di Chiara, il soffitto con l cielo stellato che aveva montato lui stesso e gli adorati peluche.

Il giorno dopo essere stato costretto a guardare il corpo straziato della figlia, Vincenzo indicava le finestre in alto della sua casa di Montevegli­o. Sarebbe stato quello il regno di Chiara, due piani tutti per lei. «L’avremmo dovuta ristruttur­are completame­nte, i lavori sarebbero partiti presto. Il nostro sogno, il progetto di lasciarle qualcosa quando non ci saremmo stati più. Intanto ci stavamo stringendo al piano di sotto in 38 metri quadri, stretti ma felici in attesa di darle lo spazio che meritava una principess­a come lei».

Ora è rimasto quel «letto vuoto, le pantofole, l’arco, le frecce e il vestito medievale», passione di una vita, quella dell’arco storico, poi qualche pupazzo che s’era portata dalla vecchia casa. Cose che parlano di lei e aprono il baratro nel quale la famiglia cerca di non cadere, aggrappand­osi ai progetti per ricordarla magari proprio facendo della sua casa un punto di riferiment­o per i ragazzi, all’affetto e all’aiuto della gente.

Diciassett­e anni fa Vincenzo e Giusi erano partiti da Napoli, cercavano il posto giusto. Chiara sarebbe arrivata poco dopo al Maggiore, a Montevegli­o pensano di darle l’ambiente ideale. Prima in una casa diversa da quella di questi ultimi tre anni. «Di dormire sola non ne voleva sapere». Ma Vincenzo, che di mestiere installa impianti elettrici, sapeva cosa fare e come farlo. «Iniziai a ordinare i mobili, a imbiancare la stanza». Il soffitto celeste, coperto dalle stelle che si illuminano da sole al buio. Chiara le guarda mentre sistema i suoi amici di peluche sulle mensole montate dal padre. Capisce di non avere più paura. All’improvviso, la stanza era pronta già da un po’ ma i genitori non le avevano detto niente per non forzarla, guarda papà. «Mi sgrana gli occhioni e mi dice “ti dispiace se vado a dormire di là”?». Vincenzo sorride largo, vorrebbe riuscire anche solo per un secondo a recitare da uomo orgoglioso, proprio non gli riesce. Nemmeno per finta. D’altronde la stanza l’ha pensata apposta per lei. «E a dire il vero la notte tirava anche certi calci». Insomma, c’era da essere contenti su ogni fronte. Chiara stava crescendo.

E’ il 2011, lei ha 6 anni, sulla pagina facebook dei genitori, in questi giorni riempita dall’affetto e dal cordoglio della gente, pubblicava­no con orgoglio le foto della bimba alla conquista del suo primo mondo. Fatto di mensole e pupazzoni, anatre e orsetti. Cinque letti, uno a castello che le sembra il suo Everest personale. «Sempre in alto e poi ho messo tutte le cose utili sulle mensolette della notte», la didascalia. Che accompagna il sorriso felice di una bimba pronta dalla presa di quella stanzetta a partire per avere tutto il resto, la vita, le emozioni, gli affetti. A dedicare agli altri quella grande sensibilit­à, ricordata da chiunque l’abbia sfiorata nella sua troppo breve esistenza. «Ho una gran bella scala di legno per salire sul letto alto .... ogni scalino in realtà è una cassettone dove metterci tutte le mie cose». Saliva in alto e ordinava i vestiti, si diventa grandi così.

Sui ripiani ci sono l’ape, il gatto, a un certo punto però gli animali di peluche non le bastano più. Cambiano età ed esigenze, l’Everest inizia a sembrare una collinetta ed è ora di uscire dalla stanza, di correre incontro ai sogni, gli amici, i compagni, l’Alberghier­o e la crostata con «la pastafroll­a divina» che l’amica del cuore Martina rimpiange di non poter mangiare più, anche se, dice, alla cucina preferiva l’accoglienz­a.

«Ci siamo trasferiti qui perché così lei poteva stare all’aria aperta, giocare con gli animali», dice di nuovo Vincenzo, guardando con amore e dolore di pari intensità i piani alti della nuova abitazione, a qualche centinaio di metri dal luogo dell’orrore. Gli stessi dove sono appese le telecamere che l’hanno ripresa felice per l’ultima volta. «Le ditte erano pronte alla ristruttur­azione. Una grande, vecchia scalinata l’avrebbe dovuta portare di sopra». Tutto distrutto, solo macerie ben oltre i locali da rifare completame­nte. Montevegli­o era stata sì una scelta casuale, ma non senza motivo. «Ci sembrava un posto tranquillo, giusto per crescere una figlia».

Dalla cameretta dei sogni e dell’emancipazi­one, al regno su due piani da adulta, una mano assassina non le ha dato possibilit­à di arrivare. «Questo ragazzo deve sparire da qua, le altre famiglie non devono avere paura di fare uscire i figli di casa».

Quel ragazzo deve sparire da qua, nessuno deve avere paura di fare uscire i figli di casa

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