Il bianco avanza, rosso Bologna addio?
Nuovi colori nelle strade del centro Complice il «bonus facciate», la città sta pitturando di nuove cromie i suoi palazzi, al posto del colore della tradizione. E tra gli architetti c’è chi non approva
Sempre più palazzi cambiano faccia, spesso grazie all «bonus facciata» che invoglia ad abbellire edifici datati e spesso anneriti dall’inquinamento e rovinati dall’incedere aggressivo e inesorabile degli anni. Alcuni palazzi però a sorpresa cambiano anche colore come è evidente in via Ugo Bassi: il bianco ha preso il posto del rosso e del giallo. Non è la prima volta che accade sotto le Due Torri, ma c’è chi storce il naso temendo che la città si snaturi.
Non è tutto «rosso» quel che luccica. Pennellate di bianco infatti avanzano in città sulle facciate dei palazzi d’epoca in centro storico. Non si spaventino i bolognesi, Bologna non perderà il suo colore di vocazione: da sempre, di tanto in tanto, si rispolverano colori e tonalità. Imperversano ponteggi e impalcature figlie del «bonus facciate», poi una volta smontate arrivano le sorprese. Ora tocca al bianco, ma già era successo una trentina d’anni fa con l’avallo degli uffici comunali. Uno sguardo comunque nuovo o comunque insolito e raro.
In via Caprarie, angolo Drapperie, quello di Padre Marella, il palazzo è diventato bianco avorio. Ancor più evidente il maquillage in via Ugo Bassi, angolo Giacomo Venezian, dove il rosso stinto che prima campeggiava sull’edificio della Generali si è trasformato in un bianco totale (portico compreso) e in una nuova pavimentazione. Ora, il fronte sud della strada, con altri tre immobili già molto chiari, non ha più niente di rosso.
Interventi avallati dalla Sovrintendenza in seguito a ricerche, valutazioni, documenti. Peccato che l’istituzione di via IV Novembre, interpellata, preferisca il silenzio (rimandando a convegni e studi di settore) piuttosto che spiegare serenamente ai cittadini. In ogni caso non sono certo questi gli unici palazzi bianchi presenti, basti pensare a casa Carducci o al palazzo, ben visibile, di via Santo Stefano angolo de’ Coltelli. Così come non mancano edifici rosa shocking, coma la chiesa di via Castiglione, per restare sull’antico.
Mentre altri cantieri lavorano su decorazioni e ornamenti, fra cui il Canton de’ Fiori, ieri si è inaugurata la nuova facciata del Sole recuperando invece i colori del 1889 quando venne eretta insieme a via Indipendenza: un preponderante color mattone di carattere che non proseguirà nell’ala adiacente, che rimarrà gialla, e che sarà conclusa ad agosto (ma lì c’è un incredibile problema di proprietà asimmetriche).
Il dibattito, mai negativo in sé, è più vivace sul bianco riaffiorato. Gli stessi addetti ai lavori si interrogano su quanto sia opportuno «osare» nel restauro di un edificio storico come quello di via Ugo Bassi. «Da tempo a livello globale assistiamo a una tendenza verso il bianco — osserva l’architetto Nicolò Lewanski —: non so dire se di questo aspetto algido piaccia la discrezione o la presunta innocenza, ma di certo è molto presente. Credo che a questo punto la discussione diventi se sia possibile un’attualizzazione del nostro patrimonio architettonico o se sia da privilegiare un’identità locale uguale a se stessa nel tempo».
Più cauto è il collega Giambattista Ghersi: «Si tratta di un angolo importante per la città, posto al crocevia di due strade trafficate e vissute. Si può apprezzare la continuità cromatica con gli altri edifici di via Ugo Bassi, ma in effetti in questo caso particolare ci poteva forse essere un’attenzione maggiore. Un cambiamento del genedell’Arena re può disturbare: la città è un bene comune ed esiste una memoria storica per cui quell’edificio è sempre stato visto come era prima». Sulla stessa linea anche l’architetto Marco Prodi: «Da cittadino, penso a Bologna colorata di giallo e rosso: il bianco è più leggero ma non ci appartiene». Sulla distinta visione dei professionisti e dei bolognesi si concentra l’ingegnere Andrea Guidotti: «Ritengo che il cambio di piano cromatico sia stato approvato dalla Cqap (Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, ndr), i cui membri fanno riferimento a un proprio sentire, che guida la loro attività professionale. Ma come nasce questo sentire? C’è distanza tra la formazione e la prassi professionale dei tecnici e il comune sentire, mentre tra queste due polarità dovrebbe esserci una dialettica costruttiva: in campo c’è l’immagine della collettività».