Dentro e fuori
Al museo nazionale dell’Ebraismo di Ferrara la storia del simbolo dell’antisemitismo: dal 1516 a Venezia al dramma del fascismo
Uno sguardo all’interno di quelle sinagoghe, che da fuori non potevano essere riconoscibili in alcun modo e che dentro erano invece decorate con tesori artigianali. E poi pezzi di archivi di famiglia, album fotografici, quadri, tovaglie e diplomi, persino una lettera firmata dallo scienziato Cesare Lombroso, conservati per decenni dalle famiglie ebraiche. Sono alcuni dei materiali che da oggi, ingresso 10 euro, si possono vedere al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara nell’esposizione «Oltre il ghetto. Dentro&Fuori», slittata di un anno e mezzo a causa del Covid.
Un percorso, a cura di Andreina Contessa, Simonetta Della Seta, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel, che fino al 15 maggio 2022 ripercorre la storia degli ebrei italiani dal confinamento all’interno dei ghetti, il primo a Venezia nel 1516, a inizio ‘900. La mostra, spiega il presidente del Meis Dario Disegni, «rappresenta il terzo capitolo della narrazione della storia della comunità ebraica in Italia, mostrando preziose opere pittoriche come la ‘Ester al cospetto di Assuero’ di Sebastiano Ricci, prestato del Quirinale, o l’’Interno di Sinagoga’ di Alessandro Magnasco degli Uffizi».
Una ottantina tra opere d’arte e oggetti che testimoniano la vita ebraica quotidiana, come la porta dell’Aron Ha-Qodesh, l’Armadio sacro dorato in legno intagliato di una delle sinagoghe del ghetto di Torino. Muovendosi sul delicato crinale del dentro e del fuori, ricordano le quattro curatrici: «Quello che è accaduto agli ebrei, resistere e crescere dentro una propria cultura cercando sempre di dialogare con quella circostante, anche quando essa ha posto dei limiti e perfino delle barriere, è oggi un percorso comune. I dilemmi dei ghetti tornano, e anche quelli dell’integrazione. Il ghetto è un concetto combimbo plesso che nasce da scelte politiche, non è un caso che questa parola sia stata tramandata fino ai nostri giorni per definire ogni tipo di segregazione. Se l’invenzione del ghetto, storicamente cattolica e italiana, è certamente una forma palese di antigiudaismo atta a sottoporre a controllo la minoranza ebraica, tante altre sono le espressioni di intolleranza verso gli ebrei che accompagnano la loro separazione dal resto della popolazione. Conversioni forzate, processi, divieti, roghi, umiliazioni, tribunali dell’Inquisizione, delazioni, rapimenti di bambini».
Come accaduto nel 1858, quando già agli ebrei del Piemonte erano stati concessi i diritti civili e politici. Quando, nella Bologna dei Papi, un di 6 anni venne battezzato in segreto dalla governante e poi rapito dalle guardie del Papa per essere cresciuto a Roma.
Si chiamava Edgardo Mortara e il suo caso, ricostruito nei dettagli da una pronipote, la studiosa Elèna Mortara, creò subito scandalo anche se non bastò a cambiare il destino del bambino ebreo che diventerà cardinale. In mostra il celebre quadro «Il rapimento di Edgardo Mortara» di Oppenheim, perduto da circa 150 anni e riscoperto nel 2013, esposto insieme ai documenti dell’Archivio eredi famiglia Alberto Mortara. Una vicenda che Steven Spielberg ha sperato a lungo di portare al cinema e che sarà al centro del nuovo film di Marco Bellocchio, «La conversione», di cui prosegue il casting in Emilia-Romagna. Al termine della mostra ferrarese riviste e lettere introducono a una nuova utopia, la nascita di uno Stato ebraico in Palestina, che trova in Ferrara una sponda di rilievo. Alla fine dell’itinerario il baule della crocerossina Matilde Levi, volontaria durante la Grande Guerra.
Un simbolo dell’identità italiana fortemente sentita già a partire dall’adesione ai moti risorgimentali e tradita anni dopo con le persecuzioni. Quando gli ebrei italiani saranno considerati dal fascismo italiani da mettere fuori, dalla società, dal lavoro, dai diritti, dalla vita.