Quando è nato il pensiero
In Salaborsa alle 18 con Alessandra Sarchi e Matteo Marchesini La docente Unibo Silvia Ferrara indaga simboli e segni prima della scrittura
Èvertiginoso il volo nel tempo che fa fare Silvia Ferrara, docente ordinaria di «Civiltà egee» all’Alma Mater. Lo presenta con un «quel che non siamo, quel che non vogliamo» che accende aspettative di un percorso affascinante: «Questo non è un libro di scienza o di arte, non è un libro di semiotica. Non è sulle grandi scoperte dell’archeologia…». Non è neppure un semplice viaggio, di quelli d’agenzia e neppure di «Avventure nel mondo». Come spiega il titolo è Il salto, ossia una proiezione indietro nel paleolitico, fino a 50mila anni fa. Il sottotitolo ne definisce gli ambiti: «Segni, figure, parole: viaggio all’origine dell’immaginazione». Sarà accidentata la strada, tra le preistoriche grotte di Chauvet in Francia, quella dei Cervi nel Salento e moltissimi altri siti sparsi nel mondo, dall’Europa all’America all’Australia, dal
Sud Africa all’Indonesia, al Medio Oriente.
Il libro, scritto in modo appassionante e spiritoso, pubblicato da Feltrinelli (pagine 240, euro 19), l’autrice lo presenta oggi alle 18 in Salaborsa con due scrittori, Alessandra Sarchi e Matteo Marchesini.
Professoressa Ferrara, lei è un’archeologa?
«Non lo so neppure io che cosa sono. Ho studiato Lettere classiche e Archeologia in Inghilterra. Mi sono specializzata in scritture indecifrate dell’Egeo, la Lineare A, il geroglifico cretese, la scrittura ciprominoica. Il mio libro precedente, La grande invenzione, era dedicato alle prime scritture».
Questo sarebbe una specie di prequel, che indaga le raffigurazioni nel mondo ancora senza scrittura?
«L’intento era di ricostruire un percorso, ponendomi delle domande piuttosto che dando risposte. Ho provato a farlo con mentalità scientifica, sbarazzandomi di tesi non dimostrate o di suggestioni New Age, che spesso hanno ingombrato il campo. È stato provare a capire come è stato inventato qualcosa che prima non c’era: il salto dal mondo materiale alla raffigurazione iconica, ai simboli, ai segni, per rendere presente l’assente, fino alle parole, all’invenzione linguistica».
Per farlo è andata a osservare
gli animali dipinti sui muri delle caverne nel paleolitico, i segni astratti che spesso li accompagnano…
«Per tracciare una traiettoria che potesse legare codici grafici pre-scrittura alla scrittura ho rivolto l’attenzione alle società che precedono quelle dei templi, degli stati e della loro complessa organizzazione sociale».
Possiamo parlare di arte primitiva?
«Non mi sembra arte il termine giusto: anche i più affascinanti dipinti delle grotte non ne hanno l’arbitrarietà. Siamo di fronte alla necessità di comunicare espressa in modo grafico, con sistemi di codici dove cogliamo una sequenzialità».
Gruppi di rinoceronti, di leoni, oppure lunghe serie di mani. Come si è mossa?
«Ho viaggiato in tutto il mondo, senza seguire una sequenza cronologica o geografica. Ho ritrovato dappertutto elementi che sembrano segni di codici, che non riusciamo a decifrare. Ma la grande sfida è capire il salto che ha portato alla scrittura».
C’è la speranza di fare questo ulteriore passaggio?
«Lo scopo non è quello di arrivare: pongo alcune domande su cosa significasse l’interesse convergente in tutto il globo dell’homo sapiens a comunicare per segni».
Come mai presenta il libro con due scrittori?
«Ho chiesto alla casa editrice di non coinvolgere accademici, archeologi, semiotici… Mi interessa, come nella scrittura del libro, che l’approccio sia fruibile da un grande pubblico, accessibile. Il mio è un racconto, non un saggio, anche se il metodo è scientifico».
Ma sicura che quelle opere, che ancora emozionano a vederla in quel buio, nel cuore della terra, non fossero creare con intenti artistici?
«Dietro di esse intravediamo una grande maestria, ma non d’artista. Dietro raffigurazioni e simboli scorgiamo strati di curve di apprendimento e la volontà di comunicare agli altri membri del gruppo, ma non un’espressività con finalità estetiche»
Il lungo percorso
Dal mondo materiale ai simboli per rendere presente l’assente, fino all’invenzione linguistica