Corriere di Bologna

Balasso rilegge Ruzante

Arena, l’attore protagonis­ta dell’opera di Beolco «Bologna? Ho lasciato un tesoro ai vigili urbani»

- Di Paola Gabrielli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Balasso fa Ruzante». E il testo è tutto nuovo. L’attore veneto — ma ci tiene a dire che la sua terra è quella di confine, lambita dal Po — ha riscritto l’opera di Angelo Beolco detto Ruzante partendo da un’accurata ricerca linguistic­a condotta insieme ad Andrea Collavino e Marta Cortellazz­o Wiel, con lui in scena all’Arena del Sole da stasera a domenica 30 (20.30, sabato ore 19, domenica ore 16). Il sottotitol­o esplicativ­o dice: «Amori disperati in tempo di guerre» e il linguaggio parla a noi rimanendo fedele allo stile del drammaturg­o e scrittore veneto vissuto nel Cinquecent­o. A dirigere il cast, Marta Dalla Via che ha definito questo testo «un neo-dialetto obliquo, abbondante e spassoso, che rende concrete tre figure toccanti: l’amico rivale Menato, Gnua donna sottoposta eppure dominante e lo stesso Ruzante».

Balasso, perché questo titolo?

«Per non incorrere in equivoci. E poi, mi piaceva il verbo fare, come i bambini. Io faccio questo, tu fai quello. È puerile anche l’erotismo erotico campestre dell’opera. Poi purtroppo la guerra obbliga a crescere».

Da quale esigenza è nata l’idea di mettere in scena Ruzante?

«Forse solo io potevo fare questo tipo di lavoro, se non altro per la vicinanza ai luoghi. Uso il linguaggio di mio padre, veneto ma simile al ferrarese. È chiaro però che l’opera andava riscritta. Primo perché altrimenti sarebbe stata archeologi­a, secondo perché a me non piacciono moltissimo le commedie di Ruzante. Mi piacciono i dialoghi e alcuni plot nelle commedie».

Qual è il risultato?

«Un falso di Ruzante. Ma magari gli sarebbe piaciuto».

Nelle note di regia Marta

Dalla Via scrive «Dove cerchiamo il bucolico troviamo spesso crudeltà»...

«Con Marta Dalla Via condividia­mo un modo di vivere. Lei abita in alta montagna, io in campagna. È bello parlare della bellezza della campagna, ma com’era lavorarci nel Cinquecent­o? Lo spettacolo non parla di attualità, ma della contempora­neità. Però diciamo: quando parliamo dei rapporti di dominanza, di genere, non dimentichi­amo che veniamo da

là. Pensiamo allo status sociale della donna dell’epoca. Non poteva esistere da sola, se voleva avere una dignità in società doveva avere una protezione maschile. È facile oggi parlare come ci fossimo liberati di quel giogo lì, ma temo che a tratti saltino fuori quelle cose come una bestia dentro una persona vestita bene».

Perché Ruzante oggi è poco rappresent­ato?

«È venuta meno la questione territoria­le nel teatro italiano. Parlo dei classici: traduciamo persino Eduardo. C’è una chiusura. Se traduco Macbeth in sardo diventa un’operazione credibile ma relegata tra gli amanti del teatro. La verità è che il teatro non è più la chiesa laica di un tempo».

Cosa può fare il teatro per tornare centrale?

«Continuare a stare nel suo specifico. E lo dice uno a cui il teatro sta stretto. La mia modesta proposta, come direbbe Jonathan Swift, è non cedere alla virtualizz­azione. Abbiamo già l’aberrazion­e del film sul telefonino. La gente ha ancora voglia di matericità. Forse il teatro è respingent­e. Deve uscire dalla naftalina. Mi piange il cuore quando vedo bravi registi a cui gli stabili chiedono un titolo famoso».

Ma il dopo lockdown le avrà fatto piacere.

«Ah beh, essendo un orso il lockdown l’ho vissuto benissimo».

E il ritorno a Bologna? Qui fondò la Compagnia degli Gnorri…

«A Bologna ho lasciato un tesoro ai vigili urbani. Ma se non esistesser­o i distratti come me tutti i comuni fallirebbe­ro».

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 ?? ?? In scena Alcune immagini di «Balasso fa Ruzante (amori disperati in tempo di guerre)» di Natalino Balasso(fotografie Tommaso Le Pera)
In scena Alcune immagini di «Balasso fa Ruzante (amori disperati in tempo di guerre)» di Natalino Balasso(fotografie Tommaso Le Pera)
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