«I messaggi dei miei figli valgono più dell’elezione» Il difficile giovedì di Casini
A un passo dall’intesa il muro di Lega e centrodestra lo ha frenato
«I miei figli mi hanno scritto messaggi bellissimi, e questo mi basta, è più importante di qualsiasi elezione. Grazie di tutto». Basterebbe questo messaggio di WhatsApp, circolato ieri in Transatlantico sui cellulari dei fedelissimi di Pier Ferdinando Casini, a riassumere la consapevolezza del fatto che la corsa per il Quirinale del senatore centrista di Bologna sia ormai arrivata a uno stop. La cautela è d’obbligo, viste le acque agitate in cui navigano ancora i grandi elettori alla boa della quarta fumata nera, ma qualcosa nella traiettoria verso il Colle dell’ex presidente della Camera ieri sembra essersi incrinato.
E dire che nella notte tra martedì e mercoledì mancava poco, pochissimo, a chiudere un accordo sul nome di Casini. Prima i contatti tra Matteo Salvini e Matteo Renzi, sponsor del senatore centrista dalla prima ora. Poi i segnali di intesa arrivati da Forza Italia e dal Pd, dove non sono solo gli ex Dc e i centristi a gradire il nome dell’ex presidente della Camera. Ma la forte resistenza impressa da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia ha spinto il leader del Carroccio alla frenata, mandando in fumo tutta l’operazione Casini con le prime luci della giornata di ieri. «È uno che è stato eletto con il Pd. Una proposta della sinistra», ha chiuso le trattative il leader del Carroccio ieri mattina, prima di entrare all’ennesimo vertice del centrodestra dove è stato ribadito il no al senatore centrista.
Anche per questo forse i big bolognesi del Partito democratico — che nel 2018 ha candidato Casini sotto le Due Torri all’uninominale del Senato — ieri hanno ostentato una certa prudenza nei confronti del loro concittadino illustre, alleato politico e possibile successore di Sergio Mattarella. «Sono tanti i bolognesi che storicamente sono in lizza per il Quirinale, a tutti loro faccio i miei auguri e vedremo cosa succederà», ha glissato il sindaco Matteo Lepore a chi gli chiedeva un commento sulla corsa di Casini verso la presidenza della Repubblica. Anche il governatore Stefano Bonaccini, piuttosto abbottonato sui nomi in questi giorni, nel primo pomeriggio a Montecitorio si è abbandonato a un’analisi della situazione che lascia pochi margini all’ex Dc bolognese. Per la Presidenza della Repubblica serve un profilo il più possibile autorevole e condiviso possibile, è il mantra di Bonaccini, e per come stanno messe le cose «i due nomi veri sono Draghi e Mattarella».
Come dice un parlamentare emiliano «può ancora succedere di tutto», ma è indubbio che da ieri le quotazioni dell’ex presidente della Camera sono notevolmente scese rispetto ai giorni scorsi. E quello che poteva essere il giorno giusto per Casini, si è trasformato invece in un giovedì come un altro. Forse un po’ peggiore degli altri, visto il muro alzato da Lega e centrodestra. I 3 voti alla quarta votazione di ieri, contro i 52 del giorno prima, sarebbero la dimostrazione plastica che il vento per l’ex presidente della Camera ha iniziato a soffiare in direzione contraria.
Casini, come sempre, non si è scomposto. Né tra i saloni di Montecitorio, né uscendo per strada con l’immancabile sciarpa rossoblu a sigillare il cappotto scuro. Solo sorrisi a chi, fuori dal Parlamento, lo ha apostrofato chiedendogli se diventerà Presidente o a chi gli faceva già i complimenti incurante di ogni scaramanzia.«Ciao, ciao, buonasera». Poi il passo svelto verso i vicoli attorno a Montecitorio, lontano dalle telecamere che lo inseguivano e che continueranno a farlo, almeno finché un nuovo Presidente non ci sarà per davvero.