Bua in pensione dal «suo» 118: sono stati due anni eccezionali, spesso ho dormito nel mio studio
«Il Covid ha inciso, siamo diventati i familiari dei malati»
Dottor Vincenzo Bua, una vita nella medicina d’urgenza, dal 2017 come primario del Pronto Soccorso del Maggiore, gli ultimi due anni affrontando il Covid, lunedì sarà il suo ultimo giorno di lavoro: che effetto le fa andare in pensione proprio ora?
«Ho solo deciso di rendere più leggera la mia vita. Questi ultimi anni li ho dedicati totalmente a questa struttura, ma ho anche accumulato una buona dose di pressione, inevitabile se si dirige un Ps come questo».
La pandemia è stata decisiva?
«Sì, ha favorito la riflessione decisiva. Ho fatto un bilancio della mia vita, ho fatto una scelta precisa. Ho 64 anni, sarei potuto rimanere fino a 70, ma il 9 marzo ho deciso e non ci ho ripensato. Questi ultimi due anni sono state eccezionali, scientificamente e umanamente. Ma anche molto faticose: ho dormito spesso qui in studio».
Ci dica dell’eccezionalità prodotta dal Covid.
«Il rapporto con i pazienti. Siamo diventati i loro familiari, eravamo il tramite con i loro cari. Emozionante. Ci parlavamo tutti bardati, quasi irriconoscibili, sorretti dalla voce spesso filtrata. Abbiamo festeggiato compleanni, anniversari, portato saluti, raccolto messaggi di fine vita, “dica a mia moglie chele voglio bene… Un’esperienza forte».
E poi i parenti.
«Siamo entrati nella loro intimità, assistevamo alle videochiamate, una condivisione totale, dei problemi piccoli e di quelli grossi. Avere toccato e capito la sofferenza, aver aiutato altri per rendere più leggere questa sofferenza a è il bello del nostro lavoro».
E con i colleghi?
«Abbiamo imparato a lavorare insieme, in termini di multidisciplinarietà e professionalità, un confronto continuo, giornaliero. Abbiamo lavorato e mangiato insieme, prima ci conoscevamo, ora abbiamo una relazione professionale. Il Covid ha aperto un nuovo mondo che non finirà, quello che ci ha insegnato non lo dimenticheremo. In ospedale come fuori».
Qual è ora la situazione? «Non entro nel dibattito vaccinale, non so perché ci sia questa diffidenza verso la scienza, ma è tutto molto evidente nei numeri. Oggi in terapia intensiva ci sono giovani non vaccinati, 50enni senza comorbidità. Posso portare solo la mia esperienza: il vaccino ci ha cambiato la vita».
I numeri del personale come sono? Gli operatori si lamentano, scioperano.
«A novembre la Società scientifica ha lanciato l’allarme al governo sulla criticità del personale d’urgenza: stiamo aspettando una risposta. Programmazione investimenti, stipendi, formazione e numero chiuso: empasse. Al Ps del Maggiore il concorso di novembre ha colmato le lacune e siamo a posto».
Lei si è contagiato?
«No, ma molti dei miei 32 medici sì, ma senza conseguenze avendo fatto tre vaccini. A Natale ben 8 e così sono tornato in corsia a coprire i turni: di nuovo medico e non direttore, una gioia».
Cosa direbbe a chi vuol fare medicina?
«Che ha il posto garantito, mentre la mia generazione è stata precaria e senza lavoro». Cosa farà il 1° febbraio? «Andrò in montagna, a casa in val di Fiemme dove non sono riuscito ad andare a Natale. Essendo un ciappinaro non mi mancano le cose da fare… Non escludo un’esperienza all’estero, dove serve, come medico, in Africa: un pensiero che ho sempre avuto. Mi mancherà questo panorama, San Luca, lo stadio, i tramonti».
Infine il nome, Bua: incredibile per un medico, eh?
«Si figuri, sono uscito anche su Striscia la Notizia… “da Bua si curano piccole malattie”. E mia figlia è pediatra…».