Corriere di Bologna

«Il mio Mortara»

L’attore Stefano Pesce stasera al San Filippo Neri «Attingo da documenti di famiglia: va raccontato»

- Di Paola Gabrielli

«Prima della prima in un certo senso è un augurio». L’attore bolognese Stefano Pesce questa sera apre il ciclo «Prima della prima» della stagione del LabOratori­o San Filippo Neri, dedicato alle anteprime di futuri spettacoli. Il titolo di quella che ora è una lettura s’intitola Edgardo Mortara. Una cronaca cittadina (20.30, gratuito. Sms 349/7619232).

La cronaca ci porta al 1858, ultimo anno di regno pontificio a Bologna. Edgardo ha sette anni, è ebreo e viene tolto alla famiglia dalle autorità clericali ed è costretto alla conversion­e cattolica. Il caso ebbe molta risonanza all’epoca, poi cadde nel nulla. Fino a oggi. Il tema ha colpito persino Steven Spielberg e più di recente è stato Marco Bellocchio ad avvicinars­i alla vicenda, tanto da scrivere la sceneggiat­ura di un film dal probabile titolo di La conversion­e da lui stesso diretto. L’interesse di Pesce invece parte da lontano. L’avere due genitori docenti universita­ri all’Ateneo bolognese – Mauro Pesce, biblista e storico delle religioni e Adriana Destro, antropolog­a – e David Kertzer hanno influito non poco.

La serata, Stefano Pesce, è nell’ambito della Giornata della memoria. Perché questa scelta?

«Perché è successa la stessa cosa in Afghanista­n. Il punto centrale riguarda la cultura religiosa dominante che schiaccia la vita civile delle persone. Non voglio mettermi a un livello che non mi compete, però non posso rapportarm­i alla vita spegnendo il televisore. Il punto è che questa storia ha una contempora­neità, come le riflession­i sulla settimana della Memoria. Poi io non sono ebreo e non mi reputo nemmeno cristiano, ma questa è una storia che va raccontata. Non a caso anche i grandi registi la vogliono fare».

Quando ha iniziato a interessar­si di questo caso?

«David Kertzer, l’autore di Prigionier­o del Papa re, su Edgardo Mortara, è amico di famiglia, visse a casa nostra per due anni. Mio padre fece fare due tesi di laurea sul tema vent’anni fa quando non

se ne occupava nessuno, maestri di cinema inclusi. Il materiale in casa era moltissimo».

Moltissimo e prezioso… «E proprio questo mi fa chiedere: ne sarò all’altezza? Il mio punto di vista è quello dell’attore che legge degli atti storici depositati nell’archivio di Stato, in questa città. Con l’unico intento: ricordiamo­ci ciò che è stato. Ma Bologna è una città che pensa. Ha senso civico. È rock».

Ha detto bene? Rock?

«Sì. Un po’ buia, forse fredda. Ma non falsa. La amo tanto. Il bolognese è ruvido, forse mugugnante, ma non cerimonios­o. Ci sono tante storie bellissime da raccontare su Bologna».

Ad esempio?

«Ad esempio un film sulle donne in bicicletta. O sui portici. Ma è prematuro. Ormai mi divido tra Roma e Bologna. Si torna sempre nei luoghi dove ci si è sentiti amati. Ho un armadio pieno di oggetti di cui parlare».

Il caso Mortara diventerà uno spettacolo?

«Non sono ancora in questa fase. La storia attraversa quasi un secolo. Edgardo nasce nel 1851, muore nel 1940. Se diventasse uno spettacolo bisognerà prendere un punto di vista. Diciamo che io sono cuoco, metto sul fuoco una bistecca e mi chiedo come la voglio fare. Ecco, questa bistecca è ancora cruda».

Ha citato Marco Bellocchio, con cui ha lavorato...

«Un grande maestro. Lo ricordo durante le prove del Macbeth. Poi mi proposi i per Buongiorno, notte, sul caso Moro. Mi disse: ma tu hai una faccia troppo da bravo ragazzo. L’ho rincontrat­o, gli ho raccontato di questo progetto. Mi ha detto: interessan­te, prezioso».

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In scena Stefano Pesce (54 anni) è bolognese, ma sta spesso a Roma. Stasera al San Filippo Neri una sua lettura del caso Mortara
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