Il Sant’Uffizio, una struttura radicata nella società civile
I rapporti tra l’inquisizione romana e la popolazione, indagati da Solera, evidenziano gli uomini e le pratiche che garantivano il controllo al tribunale
Andando oltre la leggenda e il mito del «tremendo tribunale», il Sant’Uffizio era soprattutto una organizzazione solida e capillare, un’istituzione dell’Ancien Régime composta da vertici e da tentacoli ben radicati nella società civile, al punto che per studiarne il funzionamento si può sconfinare dalla storia alla psicologia sociale. Questa è la base del lavoro di La società dell’inquisizione. Uomini, tribunali e pratiche del Sant’Uffizio Romano, edito da Carocci e prodotto dell’ampia e meticolosa attività di ricerca di Dennj Solera, assegnista in Storia moderna all’Alma Mater di Bologna dopo una carriera all’università di Padova.
Superare il mito significa accantonare per un momento tutto quanto è stato detto o si crede di sapere sull’inquisizione romana, fondata nel 1542 sulle vestigia di quella medievale, e provare a comprenderne il funzionamento e la radicalizzazione nel tessuto sociale, vero atout per assicurarne l’efficacia. Solera indaga quindi la struttura inquisitoriale, i suoi componenti, le mansioni dei singoli individui coinvolti nella macchina della giustizia e i legami, fortissimi, con la popolazione e soprattutto le élite cittadine. Scoprendo via via i collegamenti attivati dal tribunale del Sant’Uffizio nella realtà italiana, è possibile ricostruire i componenti di una «società» ben più ampia di quella che si sarebbe potuta immaginare, fatta di giudici e inquisitori, di armati e prelati, ma anche di gente comune, di ricchi uomini d’affari, nobili, venditori, contadini, artigiani. Chiunque poteva far parte della ristretta cerchia dei giudici e supportarne l’operato in cambio di privilegi. E questa incessante attività, in grado di innervare il tessuto sociale di un «certo modo di pensare», ha finito per condizionare nel profondo la vita delle città e delle campagne italiane, proponendo un modello ibrido, controverso, fatto di religione e consorterie, in cui da un lato dominava un determinato precetto morale e cristiano e dell’altro si operava attraverso una condotta tutt’altro che irreprensibile, denunciando di fatto come ancora nel XVI e XVII secolo i rapporti personali avessero preminenza sulla legge e il dettato religioso.
Con ricchezza di particolari, nel saggio di Solera emergono i legami tra il Sant’Uffizio e le aristocrazie cittadine, elette già nel Seicento a interlocutori privilegiati dell’inquisitore in forza delle loro disponibilità economiche e del loro prestigio sociale. Attraverso le patenti concesse al patriziato, il tribunale riuscì a tenere il controllo sulla società, coinvolgendo anche gli strati popolari di estrazione più umile. Si trattava, insomma, di una vera istituzione radicata nel regime, capace di condizionarne politicamente, socialmente e culturalmente gli sviluppi e dalla quale, oggi, attraverso gli studi, è possibile ricavare uno specchio nitido della società del tempo al di là della sua dimensione repressiva