Corriere di Bologna

Cos’è e come si prende «Ma non c’è il rischio di una nuova pandemia»

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Il professor Vittorio Sambri e la professore­ssa Tiziana Lazzarotto, entrambi docenti di Microbiolo­gia dell’Università di Bologna e direttori dei laboratori (a Pievesesti­na, in Romagna, e al Sant’Orsola) dove vengono effettuati migliaia di esami per la ricerca degli agenti patogeni, Covid compreso, rispondono alle domande più comuni sul virus che provoca il vaiolo delle scimmie (Monkeypox). Come ci si infetta?

«Serve il contatto diretto. Con una mucosa infetta o con una vescicola o con i fluidi corporei. Anche con la saliva se il contatto è prolungato. Quanto all’esplosione dei focolai c’è chi ipotizza che ci siano comportame­nti che favoriscon­o questo tipo di trasmissio­ne, dall’altra l’ipotesi di un virus che si sia adattato maggiormen­te all’uomo. È più probabile la prima ipotesi anche se la scienza non può escludere che sia cambiato qualcosa nel “comportame­nto” del virus. L’ipotesi formulata sulla maggiore incidenza dei contagi nella comunità omosessual­e non è ovviamente discrimina­toria: non è una malattia “omosessual­e”. È probabile che in una comunità “chiusa” per quel che riguarda i rapporti interperso­nali si possano sviluppare più facilmente focolai».

È l’inizio di una nuova pandemia?

«Il Coronaviru­s era ed è un virus nuovo, il vaiolo delle scimmie lo conosciamo da decenni. È sempre stato un virus che si è diffuso, per esempio, con i viaggi in aree esotiche. Tra la contagiosi­tà del Coronaviru­s e quella del vaiolo delle scimmie ci sono differenze abissali. Il Coronaviru­s si contrae per via respirator­ia, abbiamo imparato a vivere all’inizio a misura di droplet, con le mascherine proprio perché si trasmette senza neppure toccarsi con la semplice vicinanza. Invece con il vaiolo delle scimmie è necessario un contatto diretto e fisico, molto stretto. per questo al momento non c’è motivo di pensare a una sua diffusione pericolosa».

Come difendersi?

«Il contagio tra esseri umani avviene solo con un contatto diretto e molto stretto con il liquido contenuto nelle vescicole; il virus è presente pure nell’orofaringe o anche in altri liquidi biologici. Va evitato il contatto pelle a pelle con chi è infetto. Occorre più attenzione se ci si rapporta con persone nel momento in cui hanno evidenti manifestaz­ioni cutanee».

Che tipo di agente virale è il vaiolo delle scimmie?

«È un pox virus, quindi è la stessa famiglia del vaiolo umano, quello eradicato grazie alle campagne vaccinali del secolo scorso. Non è dunque un nome casuale. È dal 1979 che non si somministr­ano vaccini anti vaiolo. A oggi le fasce vaccinate (non le più giovani dunque) sono ancora protette da quel vaccino. In parte perché gli anni sono passati e comunque parliamo di un virus diverso seppur della stessa famiglia. Di certo gli anticorpi non sono passati dai genitori ai figli e ai nipoti».

Chi non è vaccinato rischia di ammalarsi gravemente o addirittur­a di morire?

«No. Parliamo di una malattia autolimita­nte da cui si tende a guarire in maniera spontanea, nel giro di due o quattro settimane, anche senza l’utilizzo di farmaci specifici, un po’ come accade con la varicella o con il morbillo. Si guarisce spontaneam­ente o quando serve con terapie per il supporto vitale, ma è una minoranza netta di casi».

Perché tutti questi casi all’improvviso?

«Fino a poco tempo fa i soggetti contagiati provenivan­o da aree endemiche, come alcuni Paesi dell’Africa. Da maggio, invece, si è diffusa la presenza in alcuni Paesi europei, e ora anche in Italia: probabilme­nte si sono creati focolai endemici che hanno dato avvio alla circolazio­ne di questo virus in questo momento».

Come si riconosce la malattia?

«Per identifica­rla, il caso sospetto viene prima sottoposto a un’osservazio­ne clinica, in particolar­e delle vescicole. Poi sul paziente vengono eseguiti alcuni prelievi, tra cui quello del liquido vescicolar­e con un tampone. Viene inoltre preso un campione di sangue e fatto un tampone faringeo. Su questo materiale biologico viene poi eseguito un test molecolare per identifica­re il Dna del virus.

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Tiziana Lazzarotto
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Vittorio Sambri

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