Corriere di Bologna

Dal giovane del citofono ai baby pusher Il grande blitz antidroga del Pilastro

Inchiesta dopo l’uccisione di Rinaldi: nei guai i parenti e la famiglia accusata da Salvini. Minacce per controllar­e le piazze, ragazzini a spacciare. Indagati in 43, 25 misure

- Luca Muleo

Per strada alla luce del sole, o al riparo nelle cantine. Ragazzini minorenni arruolati da altri ragazzini, sfruttati per spacciare. Affascinat­i da un potere che diventava per loro punto di riferiment­o. Dai 15 ai 17 anni, nessuno scrupolo a usarli per il commercio criminoso, pochi spiccioli e la sensazione di vivere da grandi, come spesso si è visto ad altre latitudini criminali. E poi intimidazi­oni ai residenti, che dovevano guardare in silenzio quel passaggio continuo di cocaina e hashish, assistere impotenti agli scambi o alle liti violenti, ai fatti anche tragici.

La maxioperaz­ione della squadra Mobile di Bologna, coordinata dal pm della Dda Roberto Ceroni, 43 indagati a vario titolo per associazio­ne a delinquere finalizzat­a traffico e allo spaccio in concorso, e 25 misure cautelari di cui 14 in carcere consegna un altro inquietant­e spaccato del Pilastro finito sotto la lente da agosto 2019 a marzo 2020. Le solite vie, il solito bunker, i soliti nomi. Nuclei famigliari che secondo gli investigat­ori controllav­ano la piazza di spaccio, in un clima di collaboraz­ione che poteva volgere al brutto solo per screzi legati a debiti di droga. Proprio per una riscossion­e, Luciano Listrani uccise a coltellate il 28enne Nicola Rinaldi nell’agosto 2019, quando quest’ultimo andò a chiedergli conto dei soldi.

Da quel fatto di sangue le indagini della polizia hanno ricostruit­o una ragnatela ricca di fili non troppo sottili. Il principale, secondo gli investigat­ori, porta proprio alla famiglia della vittima. Le due sorelle Elisa, 42enne e ora ai domiciliar­i, e Alessia, 47enne indagata a piede libero, risultano legate sentimenta­lmente alle due figure che gli agenti ritengono principali all’interno dell’inchiesta. Il 46enne albanese Oert Mustafaj e il 38enne marocchino Salah Eddine Karmi. Loro sono accusati di aver tenuto i contatti con fornitori e clienti più importanti e di avvalersi di una rete di collaborat­ori. Ai domiciliar­i anche la madre di Rinaldi, la 62enne Anna Maria Arena.Non l’unica famiglia coinvolta.

Sotto inchiesta, denunciati in stato di libertà, figurano anche Massimo e Alex Santagata, 49enne e 24enne appartenen­ti alla storica dinastia criminale pilastrina. Ma soprattutt­o in carcere è finito Faouzi Ben Ali Labidi, il 61enne padre di Yaya, l’allora 17enne che rispose al citofono al famoso «scusi, lei spaccia?», chiesto dal leader della Lega, Matteo Salvini. Stessa sorte per il fratellast­ro, il 24enne Mohamed el Abidi, mentre la madre è tra gli indagati a piede libero. Ma dre e padre furono arrestati già nel 2021 e sempre per fatti di droga.

I pusher minorenni

Indagati in 7 dai 15 ai 17 anni, reclutati per pochi spiccioli da altri giovani del quartiere

Yaya, che nei giorni successivi, durante la manifestaz­ione d’orgoglio del quartiere scese in strada per difendersi, invece è stato raggiunto dall’obbligo della permanenza in casa.

Allora, era il gennaio 2020, girava una battuta: dopo aver perso le politiche al Papeete, Salvini s’era giocato le regionali al citofono del Pilastro. La famiglia del giovane lo denunciò per diffamazio­ne ma l’inchiesta è stata archiviata. Lo accusarono anche di aver disturbato le indagini in corso. Esattament­e queste che oggi hanno portato alle misure e ricostruit­o il ruolo del ragazzo. Per la Mobile erano lui, accusato di procurarsi clienti anche davanti alle scuole, e l’oggi 22enne Monir Samia, figlio di una delle sorelle Rinaldi, a reclutare i giovanissi­mi pusher e pure provare a mettersi in proprio, acquistand­o direttamen­te, anche 1 chilo insieme al padre di Yaya, l’hashish da un fornitore.

Via Frati, via Deledda, via Casini, le telecamere della polizia hanno scoperto i nascondigl­i della droga. Due chili di cocaina e 8 di hashish sono stati sequestrat­i durante le indagini, mentre ieri, gli agenti hanno requisito auto, cambiate in gran quantità per trasportar­e la merce, 2 moto e 20mila euro in contanti. E’ stato anche ricostruit­o lo smercio di oltre

2,5 chili di cocaina in un mese, giro d’affari di oltre 50mila euro. La prendevano da un grande rivenditor­e albanese, quando la polizia lo arresta per altri fatti, i vertici, preoccupat­i per l’arresto e anche dal clamore mediatico sollevato sul Pilastro in quell’inizio 2020, spostano la merce nel Ferrarese e in via Salgari. I nuclei collaborav­ano, a volte pagavano droga con droga. Poi in strada ci andavano i pusher ragazzini, 7 in tutto i minori indagati, la maggior parte italiani di seconda generazion­e. Incassavan­o cifre scarsissim­e, attratti dalla promessa di facili guadagni e dal “prestigio”. «Si vuole portare quel quartiere verso la cultura della legalità» ha detto il Questore, Isabella Fusiello, sottolinea­ndo il lavoro della polizia nel Pilastro di nuovo sotto i riflettori. Dove la gente continua ad avere paura, e in questo caso «un gruppo criminale — dice ancora il questore — utilizzava intimidazi­oni per mantenere il controllo delle vie e delle piazze». Paura e orgoglio s’intende, nello stesso Pilastro dove, lo dice con forza il capo della squadra Mobile, Roberto Pititto, «abita tanta gente perbene che ha fornito e fornisce costanteme­nte collaboraz­ione alle forze dell’ordine».

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In campo Durante le indagini la Mobile ha sequestrat­o due chili di coca e 8 di hashish
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