Corriere di Bologna

La Napoli noir di Federico II

Protagonis­ta il giovane Oderico, rientrato dalla crociata. Oggi la presentazi­one «Il castello dei falchi neri» di Simoni: un Medioevo di intrighi e misteri

- di Massimo Marino

I falconi

Molte persone coinvolte nel giallo familiare sono uccise da un enorme rapace addestrato

Un Medioevo noir è quello di Marcello Simoni, autore comacchies­e best seller. La sua ultima avventura si svolge a Napoli nel 1233. Il castello dei falchi neri (Newton Compton, pagine 320, euro 9,90) sarà presentato oggi alle 21 dall’autore in dialogo con Patrizia Finucci Gallo presso l’hotel Guercino.

Simoni, lei è archeologo e ha fatto il biblioteca­rio. Come è diventato scrittore?

«Per me è stato un processo naturale. Ho sempre amato inventare storie, scriverle e illustrarl­e. E sono stato fin da ragazzo un robusto lettore».

Cosa leggeva?

«Libri d’avventure e racconti gotici: Salgari e Lovecraft, Verne e Stevenson. Crescendo ho diversific­ato i generi, dedicandom­i a Vargas, Grangé, Lansdale e altri».

Quando ha iniziato a scrivere?

«A 14-15 anni, quando mi hanno regalato la prima macchina per scrivere. Ho incomincia­to con racconti gotici, poi mi sono spostato verso il Medioevo».

Da cosa nasce la passione per quella epoca?

«Dal primo esame che ho fatto all’università, Filologia romanza. Si leggevano testi delle origini delle nostre letteratur­e, come la Chanson de Roland. Mi ha affascinat­o quell’immaginari­o fatto di spade magiche, di cavalli fantastici, pieno dei valori della cavalleria, ricco di intersezio­ni tra Occidente e Oriente».

Come mai ha lasciato il lavoro sicuro di biblioteca­rio?

«Mi piaceva, ma c’era troppa routine. Scrivere era più divertente. È diventato il mio vero lavoro, un lavoro che non stanca e anzi crea una specie di dipendenza».

È stato facile pubblicare?

«Per nulla. Ci sono riuscito dopo molti capitombol­i. Ho scritto il primo romanzo di quella che poi è diventata la Trilogia del mercante di libri, con protagonis­ta Ignazio da Toledo. L’ho proposto a vari editori e ho ricevuto solo rifiuti. Eravamo intorno al 2010. Dicevano che il romanzo storico e d’avventure non andava. Eppure c’erano quelli di Alfredo Colitto e di Valerio Evangelist­i… Dopo l’ennesimo diniego ho scoperto da un sito che un editore spagnolo pubblicava romanzi storici italiani. Ho mandato un estratto, mi ha risposto una scout che voleva leggere tutto il libro. L’hanno pubblicato e ha venduto 6.000 copie. Così è iniziato l’interesse negli editori italiani».

Come raccontere­bbe «Il castello dei falchi neri»?

«È un giallo familiare ambientato a Napoli sotto Federico II di Svevia. L’imperatore, molto amato in Sicilia, non era ben visto dalla nobiltà napoletana per la sua politica fiscale. Il protagonis­ta è un giovane, Oderico, della famiglia Grifone. Tornato dalla crociata trova una realtà diversa da quella che aveva lasciato. I genitori, che credono lui sia morto, sono rovinati dalle tasse. La sua fidanzata sta per sposare un altro…».

Cosa c’entra la caccia con i falconi?

«È il filo conduttore. Molte persone coinvolte nel giallo familiare sono uccise da un enorme rapace addestrato. Nei miei romanzi non troverete mai qualcuno sempliceme­nte eliminato con una pugnalata: cerco di ammazzare in modi originali».

Lei ha ambientato anche la Trilogia all’epoca di Federico II. Come mai la affascina tanto?

«La corte dell’imperatore fu definita “dei miracoli”, perché era piena di sapienti provenient­i da Oriente e Occidente, da Fibonacci a Michele Scoto, astrologo e medico e perciò definito mago, una figura che mi ricorda mago Merlino. Federico fu curioso, intelligen­te: scrisse un trattato di falconeria in cui contraddic­eva Aristotele. Grande fu la sua intelligen­za politica».

Per esempio nella crociata?

«La risolse con trattative diplomatic­he, riconquist­ando Gerusalemm­e alla cristianit­à senza spargiment­i di sangue. Per me il Medioevo è forse più importante del Rinascimen­to, perché ne mette le basi».

Nel romanzo ci sono personaggi dall’Oriente.

«Sviluppano parti importanti della trama. Furono gli orientali a innovare la falconeria, passando dal crudele metodo della cucitura delle palpebre dei volatili all’uso di un cappuccio, un burqa».

Qualcuno ha avvicinato lei a Dumas e a Ken Follett.

«Mi piacciono entrambi. Spero di essere meno noioso di Follett».

Vive sempre a Comacchio? «Giro molto e tornare nelle mie lagune mi dà pace. Spirituale e intellettu­ale».

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A caccia Un’illustrazi­one dal trattato «De arte venandi cum avibus» di Federico II di Svevia

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