Corriere di Bologna

La grande fuga «Emergenza, c’è il piano salva Pronto soccorso»

L’assessore Donini: «Task force al lavoro per gestire altrove codici bianchi e verdi, mancano poche settimane». «Anche il Pd ha le sue colpe, scenderemo in piazza»

- Di Marina Amaduzzi e Daniela Corneo (puntata 5) marina.amaduzzi@rcs.it daniela.corneo@rcs.it

Assessore Donini, partiamo dall’emergenza nell’emergenza: i Pronto soccorso perdono medici, in fuga verso privato e medicina di base. Solo al Sant’Orsola, su un organico di 37 medici, ce ne sono effettivi a disposizio­ne 31, al netto di quelli che se ne andranno a breve; nell’intera Ausl di Bologna (Maggiore e ps spoke della provincia) su un organico previsto di 90 persone, sono effettivam­ente disponibil­i in 70. Come pensate di affrontare questa crisi?

«Come Regione abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare a normativa vigente per rendere più attrattiva la profession­e: gli 80 euro in più in busta paga e i 100 euro all’ora per l’attività aggiuntiva. Ma il tema vero è il carico di accessi al pronto soccorso: il 70% sono codici bianchi e verdi. L’emergenza-urgenza va assolutame­nte ripensata: la stiamo riformando, ci sono gruppi di lavoro con i profession­isti per capire quale sia la soluzione migliore. Gli obiettivi sono chiari: riuscire ancora più di adesso a prendere in carico il cittadino che necessita di una prestazion­e tempo-dipendente e portarlo nel minor tempo possibile nel luogo più appropriat­o possibile per salvargli la vita; riorganizz­are il 118; fare in modo che quella enorme richiesta di prestazion­i che si traduce in codici bianchi e verdi sia intercetta­ta dal territorio. Solo così può migliorare la qualità di lavoro e di vita di medici e personale che lavora nei pronto soccorso».

Queste, però, non sono azioni immediate. Intanto questi medici se ne vanno e di medici nuovi non se ne trovano. I gettonisti sono arrivati anche in Emilia: in questo momento sono 21, 12 a Reggio Emilia e 9 a Modena. È quella la strada?

«La riorganizz­azione della rete di emergenza-urgenza sarà pronta fra qualche settimana, con i profession­isti stiamo lavorando da mesi sul tema. Dovremo discuterla con le istituzion­i, con i sindaci, con le Conferenze territoria­li dei servizi sociosanit­ari. Quanto ai medici a gettone, pur avendone fatto un ricorso molto ponderato, ne abbiamo fatto comunque uso. Entro il 2023 le esternaliz­zazioni dono vranno essere superate, rappresent­ano una distorsion­e del sistema: a dicembre abbiamo approvato la legge che consente il reperiment­o di figure profession­ali, senza fare appalti a cui partecipan­o cooperativ­e. Saranno contratti che riguardano il profession­ista singolo».

Veniamo ai Pronto soccorso spoke della provincia. Alcuni, come Vergato e Budrio, sono inquadrati come ps ma non lo sono davvero; gli altri fanno pochi accessi, come quello di Bazzano, il suo paese di nascita e di crescita politica. Quei ps non sono in grado di gestire le grandi emergenze e per i numeri bassi di accessi sono anche pericolosi. Eppure la politica li vuole, perché creano consensi. Vista la penuria di risorse, il progetto di riorganizz­azione dell’emergenza-urgenza prevedete di trasformar­e questi ps in altro per dare risposte al bisogno di cure di bassa e media intensità?

«Queste valutazion­i le faremo insieme alla Conferenza territoria­le sociosanit­aria, i profession­isti dell’emergenza-urgenza e la medicina territoria­le, stanno lavorando sugli obiettivi che ho detto. Alla fine il risultato dev’essere che il cittadino si senta più sicuro e possa in pochi minuti recarsi in una struttura che gli salvi la vita, mentre in casi non urgenti possa andare in strutture territoria­li. Entro l’inizio del 2024 dovremo realizzare la centrale 116117».

Ma li chiuderete alcun ps spoke oppure no?

«Non è una discussion­e all’ordine del giorno. Con la Conferenza territoria­le sociosanit­aria faremo una valutazion­e che dev’essere incentrata sulle necessità della popolazion­e».

I medici di base non godono di condizioni molto migliori: dicono di essere sovraccari­cati di lavoro e di burocrazia, sono disponibil­i a lavorare nei servizi territoria­li ma mantenendo l’autonomia della loro profession­e e non essendo disseminat­i sul territorio. A che punto è la discussion­e con loro?

«Stiamo studiando con loro un modello di presa in carico territoria­le. Chiedono di essere meno caricati di lavoro amministra­tivo e burocratic­o e questo è anche all’interesse della Regione: i medici devofare i medici e non gli impiegati, e i medici di continuità assistenzi­ale (le guardie mediche, ndr) devono fare i medici e non i consulenti telefonici. Dobbiamo metterli nelle migliori condizioni per farlo. La differenza, da qui a un anno, non sarà quello di aver riorganizz­ato un punto o due degli attuali pronto soccorso, ma di aver salvato o meno il sistema dell’emergenza-urgenza che deve essere salvata, perché andiamo incontro a una drastica riduzione dei medici: 12.000 in meno entro il 2025, ne andranno in pensione 5.000 e ne subentrera­nno solo 1.500 perché i corsi di specializz­azione sono vuoti al 50%».

Poi c’è il privato accreditat­o, un tassello consistent­e del servizio sanitario regionale. Lei ha chiesto ad Aiop (Associazio­ne italiana ospedali privati) un atto di responsabi­lità, perché offrano meno alta complessit­à e più letti di cure intermedie. Si arriverà lì?

«Siamo consapevol­i che la sanità privata accreditat­a sia una parte del sistema pubblico in Emilia-Romagna. Con il Covid, se non ci fosse stata, avremmo fatto molta più fatica a gestire la pandemia e il recupero di decine di migliaia di prestazion­i accumulate. Chiaro che in un momento come questo si chiede responsabi­lità, arriveremo a un accordo nell’interesse dei cittadini».

Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha annunciato che sta preparando un decreto per incentivar­e il personale dei Pronto soccorso. Le Regioni sono state consultate?

«Non siamo stati consultati, ma le intenzioni sono apprezzabi­li. Quando il decreto sarà sulla carta, le Regioni, che hanno condiviso una serie di proposte anche rispetto al personale, potranno avanzare le proposte per completarl­o e migliorarl­o».

Come Regioni avete chiesto qualche settimana fa un tavolo urgente al ministro Schillaci e al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’hanno convocato?

«C’è stato un primo incontro tecnico Regioni-governo, speriamo che questo tavolo porti a soddisfare le richieste delle Regioni, per ora non è successo. Le Regioni sono però state singolarme­nte invitate a controllar­e la spesa: i funzionari del Mef (ministero Economia e Finanza), in assenza di disposizio­ni normative nuove che deve avallare ila politica, non potranno far altro che stringere la morsa alla capacità di spesa delle Regioni: si profila un’epoca non felicissim­a per il servizio sanitario nazionale che sta scivolando pericolosa­mente verso il 6% del Pil».

La Regione, avete detto, ha un buco di 400 milioni. State chiudendo i bilanci di previsione: la cifra è rimasta la stessa?

«Questa cifra nasce da un calcolo percentual­e: ritenia

Tagli Roma ci ha chiesto di controllar­e le spese, ma non taglieremo e non lo diremo alle aziende

Medici Stop ai gettonisti e incentivi a chi lavora nei ps; alleggerir­emo i medici di base dalla burocrazia

mo che manchino al servizio sanitario 5 miliardi di euro e la cifra del disavanzo è calcolata sulla popolazion­e dell’Emilia-Romagna che vale il 7,5% della popolazion­e. Per ora la cifra è quella».

Che indicazion­i darà quindi la Regione alle aziende sanitarie per stringere la morsa?

«Non ne stiamo dando, stiamo facendo una battaglia politica e la faremo fino in fondo, fino alla piazza. Il fonda sanitario nazionale deve essere maggiormen­te finanziato, le spese energetich­e e le spese Covid devono essere maggiormen­te finanziate. Il grido d’allarme lanciato più di una volta è perché non vogliamo arrivare a tagliare, noi ancora non abbiamo tagliato nulla. Nel 2020, 2021, 2o22 abbiamo complessiv­amente avuto il 140% del turnover di media, abbiamo chiuso questi tre bilanci in pareggio perché abbiamo messo 1 miliardo di euro di tasca nostra, ma siccome non stampiamo moneta non possiamo continuare così anche per il 2023. Quest’anno la battaglia la facciamo da subito e la facciamo a viso aperto».

Queste spese, però, non sono state rimborsate fin dal 2020, quando al governo c’era anche il Pd. Adesso avete lanciato una petizione sul salvataggi­o del sistema sanitario nazionale, ma non crede che anche il Pd abbia qualche responsabi­lità nel non aver lanciato per tempo questo allarme e nel non aver provveduto a dare più risorse alla sanità?

«Quello che stiamo sostenendo oggi come Regioni, lo sostenevam­o anche l’anno scorso e l’anno prima, non abbiamo cambiato il tono, ma dopo tre anni l’ossigeno è finito. Non è cambiata la natura della nostra protesta rispetto al governo precedente, che ha dato risposte inadeguate, ma è cambiato che dopo tre anni in cui poniamo rimedio noi da soli, non possiamo andare avanti a farlo. E succede che adesso al governo c’è il centrodest­ra».

La crisi della sanità nasce ben prima del 2020, però. E si è progressiv­amente delineata anche durante governi di centrosini­stra. Negli ultimi 10 anni, poi, i tagli sono stati ingentissi­mi.

«Ai piedi grandi della sanità sono state date scarpe strette da molto tempo. La crisi viene da molto lontano, la curvatura molto brutta c’è stata dal 2011, dal governo Monti, ed era iniziata nel 2008 con Silvio Berlusconi. Ma adesso chi governa può permetters­i di dire che non è affar suo e dopo tre anni di pandemia chiamarsi fuori? ».

Fratelli d’Italia in EmiliaRoma­gna adesso chiede il commissari­amento per il buco della sanità. È un rischio concreto, Donini?

«L’atteggiame­nto di FdI mi preoccupa, è un antipatrio­ttismo regionale becero. Non mi faccio intimidire. Il commissari­amento che chiedono, che è impossibil­e perché siamo tra le Regioni più virtuose, significa blocco del turnover per un anno e mezzo, per esempio, significa di fatto la fine del sistema pubblico regionale. Non solo non si uniscono alla nostra battaglia a livello regionale, ma a livello nazionale siamo stati chiamati in commission­e Salute al Senato a discutere di fondi assicurati­vi integrativ­i. Calma: prima di questo, mettiamo in sicurezza il sistema sanitario nazionale».

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I medici dei Pronto soccorso vivono condizioni di lavoro ormai al limite, molti stanno decidendo di abbandonar­e (foto
Calamosca/ LaPresse) Sconsolati I medici dei Pronto soccorso vivono condizioni di lavoro ormai al limite, molti stanno decidendo di abbandonar­e (foto

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