L’Ecce Homo fosforescente
Pubblichiamo un estratto di «Scoperte e rivelazioni» di Sgarbi, in uscita oggi per La nave di Teseo Nel 2014 il critico attribuì al Veronese un dipinto nel museo dell’Osservanza
CIl quadro appartiene alla stagione tarda e drammatica del pittore, il Veronese «notturno», introspettivo, e in piena maturità
i sono due Paolo Veronese. Un Veronese olimpico, diurno, luminoso, che corrisponde al tempo della giovinezza, come si manifesta, verso il 1556, a ventotto anni, nelle tre impressionanti e scenografiche tele per il soffitto di San Sebastiano, con le Storie di Ester. E, più ancora, verso il 1560, negli affreschi per la Villa Barbaro a Maser. E c’è un Veronese notturno, drammatico, introspettivo che si rivela nella piena maturità, a partire dal 1580, come lampi nella notte, come lo vediamo nella Crocifissione
di Budapest, nell’equoreo Sant’Antonio che predica ai pesci della Galleria Borghese, nel Cristo Morto ,la Madonna e un angelo dell’Ermitage. A questa stagione tarda e drammatica appartiene, a evidenza, anche un dinamicissimo Ecce Homo, rappresentato nel momento estremo del supplizio e del patimento, da me ritrovato nel piccolo Museo del convento dell’Osservanza a Bologna, ordinato sotto l’appassionata guida di padre Gianaroli, esultante alla mia indicazione attributiva. Quasi fosforescente, illuminato da una luce artificiale, che non va confusa con quella di Caravaggio, che pure nella sua giovinezza dovette guardare al tardo Veronese, l’Ecce Homo è giocato sul manto rosso acceso che incornicia un torso esemplato sul Tiziano tardo, di due decenni prima. E sulla spinta centrifuga dei due scherani, di maligna vitalità. In particolare quello di sinistra, nella bellissima veste verde e oro, ha un’insolita e compiuta torsione che lo costringe a chinare il capo in uno spericolato «su in sotto» in singolare analogia con l’Incoronazione di spine di Tiziano a Monaco di Baviera. Con una pittura calda e impastata, Paolo Veronese trasmette la terribile drammaticità della mortificazione. In realtà, in questo momento, Paolo Veronese è in una fase introspettiva, sia rispetto alla scelta del soggetto, sia per l’ambientazione notturna, con il lampo elettrico del manto rosso dell’aureola. La superficie pare laccata, con effetti di contrasto che sembrano indicare una singolare contiguità con l’antagonista naturale, il concorrente Tintoretto. Comunque, il gusto di Veronese resta irriducibile, nella cura per il dettaglio, nella preziosità dei tessuti. Il suo occhio è analitico e rifugge dalla sintesi del rivale. Questo Ecce Homo brilla e vibra come materia viva. La consonanza con Tiziano, anche dopo la recente pulitura, allontana Veronese dal colore freddo del tempo giovanile. L’armonia delle forme si carica di una nuova, inedita energia cromatica. Un analogo spirito era nel Cristo deriso, già proprietà di David Carritt a Londra. E, anche se con un intervento ottundente della bottega, nel Cristo deriso e fustigato del De Young Memorial Museum di San Francisco. Ma, forse, la più evidente affinità è con l’intenso e patetico Veronese dell’ultimissimo tempo, il San Pantalon che guarisce un fanciullo della chiesa dedicata al San Pantalon a Venezia. Il rosso vibrante della cappa del santo, la torsione del giovinetto che lo accompagna, con la fantasia nero e oro dell’abito, si accordano perfettamente con il dipinto del convento dell’Osservanza. Siamo nel 1587, nella fase di un intimistico ed estremo ripiegamento su se stesso del pittore, in una tensione vitalistica e drammatica, quasi in declinazione penitenziale. La peculiarità di questo momento è intuita dal Burckhardt che riconosce nel Veronese una «vitalità libera, illimitata, spregiudicata come in nessun altro pittore al mondo». Terisio Pignatti puntualizza che «nella piena maturità, quell’incontro con l’arte di Tiziano, sempre evitato in giovinezza, si veniva ormai preparando: gli ultimi dieci anni di Paolo Veronese dovranno mostrare che molti altri elementi della più profonda cultura figurativa veneziana egli sarebbe venuto assumendo, dal Vecellio allo stesso Bassano». Nell’ultimo tempo di Veronese, il patetismo religioso, che attutisce la felicità decorativa della produzione precedente, sembra coincidere con le regole, per i contenuti e le forme, dettate dal Concilio di Trento, recepite negli stessi anni dal Tintoretto e dal Bassano. Anche così si spiega, per non perdere la luminosità, l’ambientazione notturna con gli effetti speciali della luce artificiale.