«Spero che il Papa veda il mio film su Mortara»
Ieri a Cannes per la prima ufficiale del suo film «Rapito», Bellocchio ha rivela di aver scritto a Bergoglio: «Chissà che non trovi il tempo per una serata divertente»
Chissà se papa Francesco accoglierà l’invito arrivato da Cannes. Marco Bellocchio, che ha presentato ieri in concorso al festival il suo film Rapito ,ha rivelato di aver scritto una lettera a Bergoglio e di essere in attesa di una risposta: «Spero abbia voglia di vedere il mio film. Ha tante cose ben più importanti da fare, ma chissà che non trovi il tempo per una serata divertente, interessante, tra amici». Paolo Del Brocco di Rai Cinema, Beppe Caschetto di Ibc Movie e Simone Gattoni di Kavac Film, produttori di Rapito, a Cannes hanno annunciato che devolveranno agli alluvionati della Romagna la loro quota degli incassi del primo giorno di uscita del film, prevista per domani.
Al centro c’è il rapimento a Bologna nel 1858 del piccolo Edgardo Mortara, strappato dalla sua famiglia ebrea perché battezzato di nascosto da una ex domestica e poi allevato come cristiano a Roma da papa Pio IX. Tanto da diventare da grande un prete cattolico. Alcuni sacerdoti, ha continuato Bellocchio, l’hanno già visto: «Erano emozionati e pensierosi ma il feedback più notevole è stato quello dei capi ebrei che pure lo hanno visto in anteprima. Nessuno di noi è ebreo e quindi abbiamo rischiato con questa storia ma alla fine erano molto commossi, mi ha fatto piacere». L’83enne Bellocchio, di nuovo a Cannes un anno dopo Esterno notte, ancora con la storia di un rapimento, ha risposto così alla conversione di Edgardo Mortara, termine scelto inizialmente come titolo: «Per gli ebrei non fu una vera conversione. Comunque la pagò con la sofferenza, con delle malattie lunghe. Quando diventò sacerdote cattolico cercò di convertire ma senza alcun esito: convertì solo sé stesso. C’è come un mistero. In una situazione ignota Edgardo decide di sopravvivere solo se si converte. Un atto forzato. Ma dopo, una volta libero, decide di restare fedele al Papa, e quindi respinge il fratello patriota che gli chiede di tornare in famiglia. Il mio vero padre è il papa, gli risponde».
La storia del rapimento è ispirata a un saggio di Daniele Scalise, che ora ha pubblicato anche un romanzo sul caso, Un posto sotto questo cielo. «Il film mi ha permesso - ha dichiarato Bellocchio - di rappresentare prima di tutto un delitto, in nome di un principio assoluto, e la volontà disperata, e perciò violentissima, di un’autorità ormai agonizzante di resistere al suo crollo, anzi di contrattaccare». In un’epoca in cui, prima dell’Unità d’Italia, il potere temporale della Chiesa stava per scricchiolare, il regista, ateo pur essendo cresciuto in una famiglia cattolica praticante, è tornato ad affrontare temi e questioni etiche legate alla religione, come già accaduto più volte in passato: «Non ho mai pensato di fare un film contro la Chiesa. Mi affascinava, di questa storia, la cecità della religione. Mi fa venire in mente la mia educazione cattolica, dove niente era in discussione. Una volta c’era il sacrilegio, una cosa terribile, i comunisti nel ’48 venivano scomunicati. Ora papa Francesco cerca di mettere in discussione qualcosa dei principi più discussi, i divorziati o gli omosessuali, deve aprire sennò la Chiesa non avrà futuro».