«Salvarsi con le piante»
Lo studioso: «Coprire le città di alberi per resistere al cambiamento climatico» Il botanico Mancuso presenta al Mast il libro «Fitopolis, la città vivente»
«Le piante sono una forma di vita per noi incomprensibile perché prive della capacità più distintiva di tutte, muoversi. Non è poi neanche vero che le piante non si muovono, in realtà non si spostano dal luogo in cui sono nate. Ma è proprio dal loro essere radicate che derivano gli straordinari attributi di robustezza che ne caratterizzano l’organizzazione».
Così il 58enne botanico Stefano Mancuso, fondatore della neurobiologia vegetale incluso dal «New Yorker» nell’elenco di coloro che sono «destinati a cambiarci la vita», ci ricorda come sia fondamentale ritrovare una relazione con il mondo della natura. Il docente dell’Università di Firenze, direttore del Laboratorio internazionale di Neurobiologia vegetale e della Fondazione per il futuro delle città, oggi alle ore 18,30 sarà ospite del ciclo «Le voci dei libri». Alla Fondazione Mast, in via Speranza 42, con ingresso gratuito su prenotazione. Dopo i precedenti L’incredibile viaggio delle piante, La nazione delle piante e La pianta del mondo, presenterà il suo ultimo libro, edito ancora da Laterza, dal titolo Fitopolis, la città vivente. Con riferimento a una città in cui il rapporto fra piante e animali si riavvicini al rapporto che si trova in natura: 86,7% piante contro 0,3% animali, uomini inclusi.
Nelle oltre 160 pagine Mancuso ricorda per esempio che «costruire le città secondo un modello animale creato per il movimento non sembrerebbe davvero una buona idea. Eppure è esattamente ciò che abbiamo fatto per millenni: abbiamo tentato di assimilare le nostre città immobili ai nostri corpi animali mobili, una scelta sconsiderata di cui paghiamo le conseguenze. Al contrario, il modello cui affidare la crescita, lo sviluppo e il funzionamento delle città è, senza dubbio, quello vegetale».
Una città senza biodiversità non ha difese: «Non c’è specializzazione che tenga. Lo abbiamo visto durante l’epidemia di Covid: sono bastati due soli anni senza turisti e alcune città specializzate nel turismo si sono trovate sull’orlo della bancarotta. Hanno imparato qualcosa? Non sembra. Città così organizzate potranno resistere alle prossime modifiche dell’ambiente? Quando d’estate farà così caldo che il numero di turisti inizierà inevitabilmente a diminuire, cosa ne sarà dell’economia di queste città? Infatti non dobbiamo fare l’errore di dimenticare che il riscaldamento globale modificherà drasticamente il clima di tutte le città».
Sul futuro lo scienziato di origine calabrese ha idee molto precise: «Il discrimine principale fra le città che si potranno adattare al riscaldamento globale e quelle che ne subiranno le conseguenze sarà rappresentato dalla quantità di alberi e di vegetazione presente al loro interno. Bisogna coprire di piante le nostre città e abbiamo poco tempo per farlo».
Anche sulle grandi questioni legate al traffico non mancano preziosi suggerimenti: «Chiudere definitivamente al traffico una buona percentuale delle nostre strade trasformandole in boschi cittadini non è affatto impossibile. Come non era impossibile chiudere al traffico i nostri centri storici o rimuovere i parcheggi dalle nostre piazze. All’inizio i problemi sembrano insormontabili, ma in poco tempo i vantaggi diventano così evidenti da rendere irrilevanti le piccole, eventuali, scomodità che comportano».
Basterebbe guardare esempi come Curitiba o Porto Alegre in Brasile. In quest’ultima città si trova Rua Gonçalo de Carvalho, la strada mais bonita do mundo .Il motivo del fascino è solo uno. Gli alberi che vi crescono lungo i lati e che creano una sorta di fitto bosco, il quale si insinua fin nel centro della città. Perché, conclude Mancuso, «rendere le città resistenti al riscaldamento globale e coprirle di alberi è una delle poche cose sagge che si possano fare».