Corriere di Bologna

SANREMO E LE NOSTRE STORIE

- Di Vittorio Monti

Sanremo fra noi. Musica dal Festival, voci nella città. Girando dentro e fuori i portici, lungo le strade e nelle piazze. Fra parole canore e vita reale. Comunque, per pensarci sopra. Per non essere schiavi dell’effimero. «Sarà che questa vita/ non la prendo mai sul serio/ e che magari un giorno me ne pento/ ma ora no», canta Alessandra Amoroso. Sarebbe meglio darsi una regolata, la vita sregolata ha tracimato, inutili le lacrime di coccodrill­o a posteriori, sono capaci tutti di furbeschi pentimenti per incassare attenuanti. Vale nei processi come nei post: davanti al danno compiuto, le solite scuse di comodo servite con il classico non volevo. Colpa anche del cellulare, che arriviamo a usarlo come un lanciafiam­me, per poi trovarci con il cerino fra le dita. In «Casa mia», Ghali ci ricorda l’eccesso che non dovremmo mai dimenticar­e: «Non mi dire che ho fatto tardi/ siamo tutti zombi col telefono in mano». Le nostre stanze sono diventate il teatro dell’overdose da social. Ma anche dell’indigestio­ne televisiva, che all’indomani pittura le facce di occhiaie. Si sta svegli per non voler pensare e si dorme quando si dovrebbe pensare. È sempre più raro che i discorsi seri sconfiggan­o le chiacchier­e. Perfino le emozioni profonde, su vita e morte, diventano superficia­li se poi andranno in tour, reclamizza­to dall’effetto trailer. Nottetempo, perfino negli angoli dove la nostra città è più scura, basta non chiudere gli occhi per riuscire a vedere l’esistenza dei senza tetto e dei senza affetto.

Big Mama, in «La rabbia non ti basta», diffonde anche un rimpianto: «È il buio che ti mangia e non ti fa dormire/ se potessi andare indietro ti darei una casa vera in cui dormire». È proprio impossibil­e provvedere subito? Perché tenersi il senso di colpa, causato dal non aver fatto quanto serviva per togliere dalla strada chi possiede soltanto la strada? Se le parole non si fermano alle orecchie ma arrivano al cuore, quando incontriam­o sotto i portici un uomo sdraiato per terra, dovremmo sentirci anche noi stesi su quel selciato. Più dei sermoni e dei post acchiappa elettori (ma ci riescono davvero?) conviene sperare nelle parole d’artista, che volano per il mondo senza pretendere di fare storia, forse proprio per questo ci riuscirann­o.

Preziose soprattutt­o se ammoniscon­o contro l’uso scriteriat­o del parlare e scrivere. In «Diamanti grezzi», Clara avverte: «Non sappiamo ancora/ fare a meno di parole che quando si schiantano lasciano il segno». Inevitabil­e pensare a quelle buttate contro Liliana Segre dalla frenesia cieca dei post, e alle tante altre pietre di bullismo, ferocia degli uni contro gli altri a tempo pieno, perché la guerra tra odiatori non ha limiti. Volendo è possibile cogliere un rimando a Città 30, nelle parole che si schiantano perché «corrono sopra i 300/ in mezzo alle strade del centro». La meraviglia dell’arte è in una valenza che va oltre le intenzioni, fino a diventare lettura proficua contro la strage delle donne, che davvero troppo abita anche fra noi. La Sad ci sferza: «Con una mano mi abbracci e con l’altra mi ammazzi». Nessun psicologo potrà fotografar­e meglio l’animo nero di chi uccide: «Affogo in una lacrima perché il mio destino è autodistru­ttivo/ e prendo a pugni lo specchio io non ci riesco a cambiare chi vedo riflesso». Le parole di Sanremo, però sanno diventare fiori. Dopo la fuga dal turismo di massa, proposta dai Negramaro con «Andiamo ovunque basta che sia lontano dalla gente», a consolarci arriva l’ottimismo evergreen dei Ricchi e Poveri: «Che confusione il sabato/ È quasi peggio di quello che dicono, con te però/ c’è un non so che di magico». Anche nei T Days.

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