Corriere di Bologna

«Bologna è al sicuro, non è monocultur­ale»

Schmidt in Accademia: «Non va persa la vocazione universita­ria»

- Di Piero Di Domenico

L’Accademia delle Scienze di Bologna, tra le più antiche d’Italia, opera da oltre tre secoli, oggi con 563 professori e ricercator­i, di cui 130 stranieri. Tra i suoi soci passati, Galvani, Voltaire, Pasteur, Weber e i Nobel Marconi, Marie Curie, Einstein e Bohr. La sua sede è al piano terra di Palazzo Poggi, in via Zamboni 31, in spazi decorati dal pittore del ‘500 Pellegrino Tibaldi. Questa mattina dalle 10 nella Sala Ulisse, ingresso riservato ai soci ma con diretta sul canale YouTube, l’Accademia presieduta da Luigi Bolondi inaugura il suo 334° anno accademico, che in collaboraz­ione con l’Alma Mater prevede più di 70 eventi. Dopo i saluti del rettore Molari, due letture affidate a Carlo Cacciamani, sui cambiament­i climatici, e a Eike Schmidt, da poco alla guida del Museo di Capodimont­e, che ricorderà i suoi otto anni agli Uffizi. Schmidt, 55 anni, ha origini tedesche ma da novembre è anche cittadino italiano, esperto di scultura, sposato con la storica dell’arte romagnola Roberta Bartoli.

Schmidt, a lei il compito di aprire il nuovo anno dell’Accademia.

«È un grande onore per me perché è una delle istituzion­i più prestigios­e d’Italia. Io ho passato un anno di Erasmus a Bologna, tra il 91 e il ’92, e all’epoca da studente passavo interi pomeriggi nell’adiacente Biblioteca Universita­ria, in sale che avevano affreschi incredibil­i. Nel corso degli anni a Bologna sono poi tornato altre volte, per incontri e conferenze».

La sua relazione verterà su tutela e valorizzaz­ione dei beni culturali.

«Sono i due assi portanti, due lati della stessa medaglia, anche se in Italia a volte vengono messe in contraddiz­ione o in antitesi. Ma non c’è vera tutela senza valorizzaz­ione e viceversa, lo diceva già la legge Urbani del 2002, anche se io non parlerò in termini giuridici ma farò casi concreti».

A proposito, lei ha confessato di aver reso gli Uffizi pop, ma li ha anche portati fuori da Firenze.

«È vero, il progetto “Uffizi Diffusi” ha avuto riflessi soprattutt­o in Toscana come ovvio, ma siamo arrivati anche in Romagna per esempio. A Faenza abbiamo riportato la Pala della Santa Umiltà di Pietro Lorenzetti, come atto di solidariet­à nei confronti della città di cui la santa è originaria e patrona, colpita dalla tremenda alluvione».

Un’operazione riuscita?

«Assolutame­nte, perché quell’opera è diventata centrale per la Pinacoteca di Faenza, l’evento culturale dell’anno. A Firenze sarebbe invece stata più marginale, solo un’opera come tante altre. E poi grazie a questo prestito siamo riusciti a recuperare l’opera, che ha richiesto più di tre anni di lavoro da parte dell’Opificio delle Pietre Dure e di restaurato­ri privati. Anche in questo caso tutela e valorizzaz­ione sono andate a braccetto».

” «Uffizi diffusi» è stato un successo, portare la Pala della Santa Umiltà a Faenza le ha dato grande valore

A Bologna il turismo è cresciuto ma non rischia la fine di Firenze o Verona: ha comunità di studenti e il commercio

Lei per anni ha guardato Bologna da vicino, seppur dall’altra parte dell’Appennino. Che idea si è fatto del boom di visitatori?

«Intanto Bologna ha anche una grande comunità universita­ria e poi è un centro economico e commercial­e di primo piano. Quindi non corre il rischio della monocultur­a come città quali Verona o Firenze, che pure avrebbe anche tanto altro anche se viene poco percepito».

Sulla base della sua esperienza in un grande centro di turismo culturale, che consigli darebbe a Bologna?

«Ribadisco, è vero che Bologna ha molto più turismo culturale di un tempo, ma ha anche quello enogastron­omico per esempio. Io vedo come un fatto positivo che in Italia i turisti ora vadano anche in città un tempo poco toccate. Pure Napoli, dove ora lavoro, oggi ha un turismo molto più intenso. L’importante è che Bologna non perda anche il suo carattere universita­rio e commercial­e».

Che cosa si porta dietro dei suoi anni agli Uffizi?

«Ogni realtà è diversa dall’altra, bisogna adattare le scelte, un po’ come fanno i sarti con gli abiti. Non è nemmeno augurabile ripetersi, ma non aspettatev­i che farò a Napoli quello che ho fatto a Firenze. Certo, Capodimont­e va potenziato perché ha ancora troppo pochi visitatori in rapporto al fatto che è il museo più grande d’Italia come spazi».

 ?? ?? Innovazion­e Eike Schmidt, 55 anni, ha da poco lasciato gli Uffizi per guidare il museo di Capodimont­e: a Firenze ha portato novità e progetti in chiave di valorizzaz­ione dei beni culturali
Innovazion­e Eike Schmidt, 55 anni, ha da poco lasciato gli Uffizi per guidare il museo di Capodimont­e: a Firenze ha portato novità e progetti in chiave di valorizzaz­ione dei beni culturali

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