La potenza di Maša
Crippa domani al Duse con «Un sogno a Istanbul» «La storia travolgente di una guerriera sensuale»
Lei è Maša Dizdarevicì, donna misteriosa, austera, vedova con due figlie lontane. Lui, Maximilian von Altenberg, un ingegnere austriaco mandato a Sarajevo per un sopralluogo nell’inverno del 1992. Tra loro scatta un’attrazione che non può concretizzarsi. Passano tre anni, Maša si ammala, ma l’amore tra loro non muore. S’intitola Un sogno a Istanbul la pièce attesa da domani a domenica 3 al Teatro Duse. Liberamente tratta da La Cotogna di Istanbul di Paolo Rumiz, vede sul palco Maddalena Crippa e Maximilian Nisi (ore 21, domenica ore 16. Info 051/231836). Scritto da Alberto Bassetti, diretto da Alessio Pizzech, vede sulla scena anche Adriano Giraldi e Mario Incudine, autore delle musiche. «Questo è uno spettacolo da non perdere».
Perché vederlo, signora Crippa?
«Perché coinvolge e strega il pubblico. È una bella scommessa ridurre un romanzo in versi di quella estensione in uno spettacolo di un’ora e mezza in forma di ballata. Non commedia musicale, non musical, ma un testo con un piano epico cantato e uno del dialogo diretto, poetico. Non vola una mosca».
Lei ha interpretato molti personaggi femminili potenti, cosa ci dice ora della sua Maša?
«Intanto lei è musulmana, ma di un Islam di Sarajevo, senza velo obbligatorio, dove la vita era una miscellanea straordinaria prima del grande odio. Quella con Max è una meravigliosa storia d’amore tra due persone âgées. Hanno un passato, dunque. Lei prima ama un serbo e per dire che potenza è questa donna, quando lui è condannato a 15 anni di galera dice di non aspettarlo perché vuole dei figli. Li farà, sposerà un altro. Torna da lui, rimane vedova, incontra Max e vivono un amore travolgente. Si ammala. Poi, non spoilero».
Intanto sullo sfondo, ma nemmeno tanto, si consuma una guerra.
«La guerra c’entra, come c’entra la morte, la malattia (e non dico della tortura quando devo mettermi la calotta cinematografica). Ma siccome la società rimuove tutto questo
con la sua rappresentazione di falsa felicità e sorrisi forzati, lo spettacolo offre un percorso catartico, vero e bello di come si può trovare gioia, intensità e passione anche tra mille difficoltà».
Siamo al telefono, ma sembra di vedere il suo entusiasmo…
«E lo sono. Mi piace attraversare mondi nuovi e per questo ruolo dico: meglio tardi che mai perché mi permette di esprimere una femminilità bella e piena di una donna estremamente affascinante, sensualissima ma di una femminilità che abbiamo perduto noi donne occidentali, guerriere estroverse dalle facce rifatte».
Tornando all’Europa, come vede il futuro?
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Lei vive a Sarajevo, è musulmana ma ama un serbo, poi lo lascia, trova Max... La società rimuove certe emozioni, coprendole con sorrisi forzati
«Penso perché oggi la nostra democrazia sia minacciata più che mai. Non c’è nulla di acquisito una volta per tutte. Penso a mio marito (il regista tedesco Peter Stein, ndr) che ha passato l’infanzia sotto il nazismo. Ha vissuto cose molto pesanti, ricorda tutto. Noi, generazione del boom, non abbiamo memoria di queste cose, dunque dovremmo riflettere molto bene e difendere con i denti e con le unghie ciò che è stato conquistato con morti e sacrifici».
Vengono molti giovani?
«Dico solo che veniamo da Bassano e nelle due repliche, esaurite, c’erano tanti giovani entusiasti. Dico bravi, ma è merito anche dalla bellezza del teatro che risveglia e unisce».