Don Paolo, la vita nel Vangelo
Il ricordo di Sofri: «Aveva preso per sé la sofferenza del mondo non per farne dibattito ma per partecipare alla vita degli ultimi»
In occasione del ventennale dalla morte, don Paolo Serra Zanetti viene ricordato da due giornate patrocinate dal Comune di Bologna e dall’Arcidiocesi, con la collaborazione della Biblioteca dell’Università di Bologna, la Biblioteca dell’Archiginnasio e l’Associazione di volontariato a lui intitolata. Giovedì 14 in Archiginnasio interverranno, fra gli altri, monsignor Stefano Ottani, l’ex rettore Ivano Dionigi, Antonio Cacciari e il direttore del Ficlit Nicola Grandi, mentre per il giorno successivo è stata organizzata una giornata di studi presso la Biblioteca universitaria.
Ospitiamo qui l’intervento di Gianni Sofri — storico, docente dell’Alma Mater ed ex presidente del consiglio comunale di Bologna dal 2004 al 2009 — che sarà letto da Laura Vicinelli.
Cari amici, mi è stato chiesto di contribuire anch’io a ricordare don Paolo Serra Zanetti. Ho scelto di utilizzare l’intervento con il quale proposi al voto del Consiglio comunale, l’8 novembre 2004, la delibera in base alla quale il Comune accettava l’eredità di don Paolo Serra Zanetti, «avendo cura che la sua destinazione fosse effettivamente volta a sovvenire a qualche bisogno delle persone povere».
Sono passati vent’anni da quando don Paolo Serra Zanetti è andato altrove. Ma ancora oggi, a chi passi dalle parti di porta Castiglione, capita di guardarsi attorno come aspettandosi di vederlo sbucare da via Arienti o da via Rialto: tale era l’abitudine a incontrarlo, quel prete minuto e fragile, con la sua borsa pesante di libri e di carte, o circondato dai suoi tanti amici un po’ male in arnese, con giacche troppo larghe o troppo strette, cui si dedicava in modo assoluto e senza risparmio di sé. Erano i due aspetti solo in apparenza separati e lontani della sua vita.
Da un lato, lo studioso raffinato, il professore di Filologia ed esegesi neotestamentaria e di Letteratura cristiana antica. Dall’altro, da sempre, un uomo che aveva preso su di sé la sofferenza del mondo: non per farne oggetto di dibattiti, ma per vivere, con una partecipazione totale, per gli umili e tra gli umili. Il dare, il condividere, il partecipare lo facevano povero (il suo stipendio di professore, lo si è saputo quando è morto, si esauriva entro il 20 di ogni mese). Vestiva sempre un abito grigio (di un grigio che nel tempo, per naturale consunzione, si era fatto sempre più chiaro) e una camicia bianca tutta abbottonata: si farebbe fatica, nel suo caso, a usare il termine clergyman. Riservato e assai parco nel parlare di sé, don Paolo era invece incredibilmente curioso e attento nei confronti dei suoi interlocutori, cui trasmetteva affetto e solidarietà. Non a caso ho detto che questa sorta di doppia vita era solo apparente: in realtà, un filo sottile ma assai resistente univa in lui la sapienza di Gerolamo alla freschezza di Francesco, in una serena convivenza.
Ad Antonio Cacciari si deve un’acuta disamina, nella quale mi ritrovo totalmente, del lessico di don Paolo. Eccone alcuni esempi: «amabile», «sobrio», «docile», «mite/mitezza» (anche Matteo Marabini ha parlato di «piccolezza mite»).
Quando seppi della sua morte, mi venne l’impulso di cercare qualcosa di più su di lui, e mi rivolsi, come usa ora, a internet, in cerca di sue tracce. Trovai pochissimo: lui, certamente, non aveva tempo da dedicare all’apparire. Don Paolo compariva allora (oggi è diverso) con qualche programblioteche
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La «casa» in Castiglione Ancora oggi chi passa dalla Porta si aspetta di vederlo sbucare da via Arienti o via Rialto, circondato dai suoi tanti amici un po’ male in arnese a cui si dedicava
Le alte virtù Riservato e parco a parlare di sé, era invece curioso verso i suoi interlocutori: in lui si univano la sapienza di Gerolamo alla freschezza di Francesco
ma d’esame, qualche convegno, poco più. In un elenco di partecipanti a un convegno, appunto, figurava così: «Paolo Serra Zanetti, sacerdote, Università di Bologna». Cercai di scoprire se fosse stato mai onorato in qualche modo, e una notizia la trovai: nel 2003 i Martedì di San Domenico gli regalarono ad honorem la propria tessera. (C’è una fotografia bellissima di quell’evento — nel bel libro La speranza resistente ,a cura di Daniela Delcorno e Giancarla Matteuzzi — con don Paolo sorridente, a capo chino, visibilmente intimidito dalla circostanza per lui inusuale, e accanto a lui padre Casali, gran domenicano in bianco, che lo sovrasta imponente). In compenso, i suoi studi di una vita su aspetti della Patristica, su Procolo martire bolognese, sul De Providentia di Seneca, sono presenti nelle più importanti biitaliane e non solo. Non ho osato inerpicarmi rischiosamente in questo campo (ci penseranno qui Antonio Cacciari e Ivano Dionigi): anche se il semplice sfogliare il gran volume che raccoglie gli Scritti classici e cristiani di don Paolo, curato da Cacciari, me ne aveva dato la voglia, per la rara sintesi di erudizione, passione, capacità di interpretare e spiegare finemente.
È così che don Paolo è passato in mezzo a noi, donando sempre qualcosa e mai chiedendo per sé. Ed è motivo di commozione che anche il suo ultimo pensiero sia stato un dono: quello della sua casa di via Arienti ai poveri di Bologna, attraverso la mediazione del nostro Comune, garante del rispetto della sua volontà con l’aiuto di chi gli è stato vicino negli anni. A due biblioteche sono andati invece, per sua espressa volontà, i libri e le carte.
Ricordo quanto i funerali di don Paolo in cattedrale colpirono tutti coloro che ne parlarono o ne scrissero. Io stesso scrissi in un articolo per un giornale: «Raramente io avevo visto una grande chiesa così straripante (ed erano, per di più, le due del pomeriggio) di gente di ogni tipo: personaggi famosi e gente comune, anziani e giovanissimi, cattolici praticanti e no, intellettuali e immigrati e mendicanti».
Se vi capita di incontrare, dalle parti di porta Castiglione, persone con giacche troppo larghe o troppo strette, che si aggirano un po’ incredule in cerca di qualcuno che non possono più trovare, date loro, per favore, qualche euro e un sorriso. Ditegli che è don Paolo che li manda.