Bellocchio al Modernissimo per i 100 anni dello psichiatra
Era il 1975 quando l’uscita del film Nessuno o tutti. Matti da slegare mostrò il processo avviato da pochi anni verso la chiusura dei manicomi, sull’onda della rivoluzione basagliana. All’epoca Silvano Agosti, Stefano Rulli, Sandro Petraglia e Marco Bellocchio entrarono nell’ospedale psichiatrico di Colorno, in provincia di Parma. Proprio il regista piacentino arriverà domenica alle ore 18 al Modernissimo per introdurre la proiezione dei 135 minuti del film, in dialogo con Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento salute mentale dell’Ausl di Modena. Nell’ambito della retrospettiva con cui la Cineteca di Bologna sta celebrando il centenario della nascita dello psichiatra veneziano, «Il pensiero che cambia le cose. 100 anni di Basaglia al cinema». Nella sua lunga filmografia, Bellocchio ha spesso affrontato temi scomodi come il disagio mentale. Dall’esordio con I pugni in tasca nel 1965 ai successivi film realizzati con lo psichiatra e psicoterapeuta Massimo Fagioli, a partire da Diavolo in corpo.
«Era stata un po’ una coincidenza incrociare in quel modo un processo di trasformazione ampio, di cui Basaglia era la punta ma che comprendeva un forte movimento di psichiatri e non solo. In quegli anni Basaglia era visto come un rivoluzionario, la sua fu un’esperienza entusiasmante che non può essere disgiunta dalla politica di quel tempo, fatta di contestazione e cambiamento».
«In realtà venimmo chiamati da Mario Tommasini, il “grande comunista”, alto dirigente del Pci, che ci chiese di testimoniare quella liberazione che era già iniziata. Anche se noi incontrammo persone formalmente libere ma che, soprattutto perché anziani, preferivano restare dentro perché non avrebbero saputo cosa fare fuori. Ma le porte erano già state aperte».
«Fu un’esperienza sentita, pur se parziale perché girammo in tempi molto brevi. Anche
se poi il montaggio richiese un tempo più lungo. Il film poi circolò molto grazie al Pci, che allora era ben strutturato. Le persone non erano più chiuse, non c’erano già più elettroshock o camicie di forza, anche se i segni delle violenze subite erano ancora impressi su di loro».
«Un tempo c’erano tre tipologie di stabilimenti sanitari separati dagli ospedali, i lebbrosari, quelli per la tubercolosi e i manicomi. Spesso venivano