Un viaggio tra gli incubi I «Nottuari» di Condemi
In scena le opere di Thomas Ligotti, autore horror
Benvenuti nel cuore dell’incubo. In piena notte, non necessariamente di notte. Dopo Calderón, Fabio Condemi, giovane regista tra i più apprezzati, torna all’Arena del Sole da oggi al 14 aprile con Nottuari, dove per la prima volta si confronta con le opere e la figura di Thomas Ligotti, autore contemporaneo cult di letteratura weird e horror (Ert coproduttore. Sala T. Salmon, oggi, giovedì e venerdì ore 19, domani e sabato 21.30, domenica ore 18. Info 051/2910910). Sua è la drammaturgia e la regia, le scene di Fabio Cherstich riproducono una mutevole installazione labirintica che sembra immergere ogni cosa nel mistero. Sul palco, Julien Lambert, Giulia Luna Mazzarino, Francesco Pennacchia e la piccola Emilia Buzzetti (alternata a Rebecca Buzzetti) nei panni di personaggi indistinti e alquanto inquieti.
Condemi, cosa l’ha attratta di Ligotti?
«Mi hanno affascinato per prima cosa i suoi testi ipnotiil ci, il fatto che la sua letteratura, tra le più interessanti della narrativa americana oggi, abbia a che fare con l’inquietudine e l’incubo».
Il titolo ovviamente richiama «Nottuario»: è a questa raccolta di racconti a cui si ispira maggiormente?
«Sì. Io l’ho reso al plurale. Nella forma breve Ligotti dà suo massimo per capacità di mettere in scena strani diari notturni. Siamo tra sogno e coscienza, non si capisce dove finisca il giorno e dove inizi la notte. Mi sono ispirato per primo a un racconto, La Medusa. Al centro c’è uno studioso affascinato da questa immagine che terrorizza e al tempo stesso affascina. Che mistero cela il fatto di essere attratti e terrorizzati dall’immagine? Il racconto fa da contenitore della costruzione della drammaturgia. Dentro però ho messo le sue teorie e altri autori».
Ad esempio?
«Ligotti è sorprendente perché innanzi tutto è un teorico della scrittura e i suoi influssi, oltre, come si sa, a
Poe, Lovecraft, paradossalmente sono molteplici. Per capire anche il tipo di inquietudine che cerca, nelle interviste cita Kafka e spesso Dino Buzzati e altri italiani come Leopardi o Pirandello. A Ligotti interessano tutti quei momenti in cui l’Io vacilla: per questo va a cercare non tanto la letteratura di genere, dove i riferimenti sono chiari, ma anche una letteratura dove i confini sono labili. Il tipo di inquietudine di Buzzati è simile a quella di Ligotti. Quanto a Leopardi, il suo pessimismo cosmico ha a che fare con la dimensione filosofica».
La scelta della galleria labirintica dà l’idea di un’immersione totale nell’incubo...
«Con Fabio Cherstich abbiamo ragionato su uno spazio che potesse ricostruire il senso di oppressione e incertezza che si prova affrontando le opere dell’autore. La sensazione è quella di un interno che apre a spiragli e viceversa e spesso si avverte la sensazione che l’ambiente ci fagociti. Un altro testo a cui mi sono ispirato è Casa di foglie di Danielewski, romanzo postmoderno in cui a un certo punto si perde il senso della misura. Gli spettatori vivono con gli attori uno spazio destabilizzante e destabilizzato».
Bambina inclusa, anch’essa sopraffatta dag?
«Esatto (ride, ndr)».