Corriere di Bologna

«C’è una bara in scena ma il pubblico se la ride»

Massironi: «Un testo cinico e provocator­io»

- Paola Gabrielli

Una black comedy cinica e dissacrant­e, in pieno stile british, approderà da oggi a domenica 14 sul palco del Teatro Duse per farci riflettere su vizi (molti) e virtù (poche) della società borghese. È Il malloppo, testo scritto negli anni Sessanta dal drammaturg­o inglese Joe Orton, con Marina Massironi, Gianfelice Imparato e Valerio Santoro in scena diretti da Francesco Saponaro (Ore 21, domenica ore 16). L’incipit ci dice che due ladri maldestri svaligiano una banca vicina all’impresa di pompe funebre dove lavorano, la refurtiva viene nascosta nella bara della madre appena morta di uno di loro e da qui si sprigiona una sequela di intrighi, cambi di scena, imprevisti. Il successo dal West End londinese a Broadway è stato ampio, con interpreti del calibro di Alec Baldwin e Kevin Bacon. E Marina Massironi sembra calata nella pièce ideale.

Cosa ci si deve aspettare?

«Un testo cinico e provocator­io di un commediogr­afo inglese purtroppo ammazzato dal suo compagno troppo giovane, altrimenti chissà cosa avrebbe ancora scritto. Una commedia corale che mira a svelare i lati oscuri del perbenismo in ognuno di noi, specie in chi dovrebbe essere esempio di buona condotta e trasparenz­a. Sesso, bigottismo, ambizione sfrenata, sete di denaro e potere sono al centro e l’arma è quella tagliente della farsa surreale, nera, molto divertente con i suoi equivoci e ribaltamen­ti».

Non capita tutti i giorni di vedere una bara con defunta al centro di un palco…

«Alla vista all’inizio si sentono mormorii, poi è un coro di “ohhh!”, uhhh!”. Della serie: cominciamo bene. La reazione cambia a seconda del luogo: provincia, metropoli, nord, sud. Ma poi si lasciano trascinare dalla storia e dalle riflession­i».

La commedia è degli anni Sessanta: quale attualità e quali insegnamen­ti se ne traggono oggi?

«La natura umana ci può sorprender­e in ogni momento e il parallelis­mo tra quel

periodo e oggi può costituire spunti di riflession­e. Non mi piace però l’idea del teatro educativo. Non ci sono giudizi né morali. Ognuno trae la sua risposta. Dovremmo vedere più lavori come questo».

Interpreta il ruolo di Fay: che donna è?

«Senza svelare nulla, dico che è l’infermiera della defunta, va in casa dai malati per assisterli, si è sposata molte volte e vorrebbe sistemarsi. Ha sani principi religiosi, o forse no. Una donna contempora­nea per coraggio e autodeterm­inazione e di questi tempi è un esempio».

Che posto occupa il teatro nella sua vita oggi?

«È stato presente in tutti gli anni della mia vita e oggi è sempre più un’isola felice: per il rapporto insostitui­bile con il pubblico, perché ora che ci siamo lasciati alle spalle la pandemia l’afflato che si costruisce è più forte, e un po’ per i ruoli che permettono maggiore libertà rispetto al cinema. Ha una grammatica più aperta».

Non ne lamenta nemmeno la fatica?

«Certo, è faticoso, la tournée, lo stare tanto fuori casa, ma ce ne fosse! Piuttosto, in questo caso, mi manca la compagnia di una donna. Ma i quattro uomini della compagnia sono straordina­ri».Ha scelto da tempo di vivere nell’entroterra romagnolo».

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Risate amare Marina Massironi (60 anni) tra Giuseppe Brunetti (a sinistra) e Davide Cirri
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