Atika, «perché l’assassino non premeditò il delitto»
Non è emerso in modo chiaro e tale da soddisfare «il criterio dell’”aldilà di ogni ragionevole dubbio” il preciso momento in cui, nella ricostruzione del fatto, doveva ritenersi acclarata la decisione del proposito omicidiario, che sembrerebbe invece riferito al momento delle minacce di morte, ovvero alla stessa notte dell’omicidio». Con questa spiegazione la Corte di Cassazione motiva la decisione di annullare con rinvio la sentenza di appello con cui è stato confermato l’ergastolo per omicidio pluriaggravato a Chamekh M’hamed, il marocchino che nel settembre 2019 strangolò , e poi ne bruciò il suo cadavere, Atika Gharib, sua ex compagna. La suprema Corte non ha ritenuto motivata dai giudici del primo e secondo grado l’aggravante della premeditazione, che invece richiede «il radicamento e la persistenza costante, per un apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni e dell’opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e al predisposizione delle modalità esecutive». Tutto questo per la Cassazione mancava nel femminicidio, o non sarebbe stato adeguatamente spiegato dai giudici dei primi due gradi di giudizio. Per questo si rifarà l’appello che potrebbe anche arrivare a rivalutare l’ergastolo. Sebbene resti infatti comunque l’aggravante dei motivi abietti e futili, il non automatismo della premeditazione potrebbe portare a una nuova considerazione della pena. M’hamed, detenuto nel reparto psichiatrico del carcere di Reggio Emilia, è difeso dall’avvocato Carlo Machirelli.