«Oscure verità»
L’ex leader del Pd presenta in Salaborsa «La condanna» sul caso Carretta Veltroni: «Metto in guardia da un linguaggio che favorisce un giornalismo superficiale»
Una donna accusa un uomo di essere uno dei delatori che ha fatto catturare alcune vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Questo viene inseguito, è percosso, a stento è salvato da un giovane carabiniere. Poi la folla lo riprende, lo sdraia sui binari del tram, ma il tranviere, sventolando la tessera del Partito Comunista, rifiuta l’esecuzione sommaria. Infine l’uomo si lancia nel Tevere: lo colpiscono con i remi, fino a farlo affogare. Poi ne appendono il cadavere, nudo, a un’inferriata di Regina Coeli. Walter Veltroni nel suo ultimo libro, La condanna (Rizzoli, pagine 224, euro 18.50), racconta questo episodio avvenuto nel settembre del 1944, subito dopo la liberazione di Roma. Un terribile linciaggio. Presenta il volume oggi in Salaborsa alle 18, con Claudio Cumani del «Resto del Carlino», per la rassegna «Le voci dei libri».
Chi era Donato Carretta?
«Sotto il fascismo era stato direttore del carcere di “Regina Coeli” a Roma. Dopo l’8 Settembre, però, aveva aiutato vari detenuti politici a scappare: tra gli altri Saragat e Pertini. Era uno dei tanti italiani che, per calcolo o per convinzione, dopo l’Armistizio si era schierato dalla parte giusta».
Perché la folla si accanì contro di lui?
«Si era recato a Palazzo di Giustizia come testimone al processo contro Pietro Caruso, il questore responsabile dei rastrellamenti che portarono all’eccidio delle Fosse Ardeatine. La folla invade l’aula e l’udienza viene aggiornata. Una donna, parente di una vittima, a quel punto indica Carretta, forse perché lo scambia per il questore. E si scatena la caccia all’uomo. È un episodio storico, che io racconto con gli occhi di un giovane giornalista di oggi».
È un precario, Giovanni, il giornalista. Il caposervizio della cultura, uno all’antica, gli commissiona un’inchiesta. E lui subito sbaglia: fa ricerche approfondite, ma su un altro Carretta.
«Va su Google e gli algoritmi gli indicano una storia più recente, del Carretta che sterminò la famiglia a Parma alla fine degli anni ’80. Giovanni grazie all’errore capisce che per fare giornalismo bisogna leggere, studiare, muoversi, approfondire, e non accontentarsi della prima pagina che appare sul web».
Come mai lei, Veltroni, recupera questa storia?
«È un modo per togliere polvere da una vicenda rimossa, che ci parla di dove può portare l’odio, l’ira collettiva, la dimenticanza delle garanzie democratiche».
Ma l’ira, in quel Dopoguerra, non era giustificata?
«Il tempo storico era terribile. C’era stata la strage delle Fosse Ardeatine; avevano imperversato criminali fascisti come la banda Koch; gli oppositori erano stati torturati in via Tasso... Erano tempi di esasperazione. Ma il paradosso è che Carretta non era quello contro cui scagliarsi. E, soprattutto, la democrazia non lincia, non uccide, ma processa».
Il romanzo apre il sipario su tempi difficili.
«Il giovane giornalista scopre la rabbia contro i fascisti ma anche un sentimento di isteria collettiva. E poi le storie di due persone rette, il giovane tenente dei carabinieri, e il tranviere che si rifiuta di far passare il tram sul corpo di Carretta».
Il libro contiene anche una lode del vecchio giornalismo, contro internet e gli attuali «leoni della tastiera».
«Vuole mettere in guardia contro i rischi di un linguaggio che ha favorito la diffusione di notizie superficiali o false e di messaggi d’odio. Non è contro le tecnologie, ma chiede che vengano usate correttamente».
Visconti e altri cineasti filmarono quella giornata. Ma nel montaggio manca proprio il pezzo del linciaggio. Perché?
«Le immagini erano troppo crude e forse si voleva dare un’idea positiva dell’Italia uscita dal fascismo».
Giovanni alla fine capirà che il giornalista deve essere «speleologo» e non «truccatore». E il suo mentore lo inviterà a scrivere un libro…
«I libri che nascono da fatti di cronaca come A sangue freddo di Capote sono quelli che più mi interessano, perché si situano nella zona di confine tra giornalismo e romanzo: interpretano la realtà con gli strumenti approfonditi della letteratura».