Le poesie inedite di «Pavana» per scoprire il giovane Bassani
Ha l’andamento di un canto luttuoso su un futuro «incerto e oscuro», un fraseggiare lento in tempo di «largo» di metronomo che richiama la Pavane pour une infante défunte di Ravel. È una raccolta giovanile di poesie, allestita da Giorgio Bassani tra il 1939 e il 1942, quando la guerra infuriava e lui viveva seminascosto a causa delle leggi razziali, subito prima del suo arresto e di una successiva fuga che lo avrebbe portato alla clandestinità. Le poesie inedite di Pavana, in parte ripubblicate in seguito nella sua prima raccolta lirica, Storie di poveri amanti e altri versi, del 1945 e del 1946, sono riemerse in una forma che sembrerebbe disegnare un volume da dare alle stampe dal Fondo Arcangeli conservato all’Archiginnasio. Sono dedicate ad Angelo (Nino), il musicista tra i tre fratelli (gli altri furono Gaetano, poeta, e Francesco, illustre storico dell’arte): perché forse l’ispirazione di Bassani, che aveva studiato da pianista e che spesso intratteneva gli amici suonando, era fortemente intrisa di spirito musicale. Rispetto a Storie di poveri amanti e altri versi, Pavana contiene nove liriche inedite e alcune varianti, ma soprattutto testimonia un importante passaggio biografico e artistico dello scrittore. Del giovane Bassani, della sua aspirazione letteraria, del suo impegno politico negli anni della guerra, si discute oggi dalle 10 nella sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio nel sesto incontro internazionale di «Officina Bassani», coordinato da Marco Antonio Bazzocchi e Paola Italia, docenti Unibo. Parleranno esperti di varie università. Alle 17 la curatrice, Angela Siciliano, dell’Università Paris III, presenterà Pavana,
pubblicato ora da Officina Libraria, casa editrice che sta recuperando testi rari della letteratura italiana del secondo 800 e del 900. Nell’introduzione Siciliano ricorda che «Bassani nasce poeta, ma debutta e si afferma come narratore», pubblicando racconti su riviste e poi nel 1940 la raccolta Una città di pianura, con lo pseudonimo di Giacomo Marchi (lo stesso che usa nella dedica di Pavana).
Quei primi racconti trattano storie ferraresi senza quasi mai nominare la città o i suoi luoghi: nella lirica, sospesa tra l’ermetismo e l’uso di una terminologia moderna, Ferrara appare, come luogo dove il poeta si sente rinchiuso e dove vuole tornare. Proprio nei versi si precisa la capacità e la volontà dello scrittore di articolare storie, con un tono che risente dei tempi oscuri che è costretto a vivere.