«Zin Zin», Comaschi in soccorso della lingua ferita dagli inglesismi
Dai social al teatro. E sarà più che mai Zin Zin. «Sapete quel rumore di smeriglio, no? Consigliatissimo». Parola di Giorgio Comaschi che domani porterà al Teatro Duse «Zin Zin – Lochescion, l’inizio della fine», il nuovo lavoro scritto, diretto e interpretato dallo stesso attore-giornalista bolognese che torna al monologo cabarettistico dopo il successo di «W il Duse!» in occasione dei 200 anni del palco di via Cartoleria (ore 16. Info 051-231836).
Il riferimento è all’esclamazione con cui Comaschi conclude i suoi post sui social il cui suono è la metafora di una critica a inglesismi e altre malefatte linguistiche della gente. Incluso il protagonista.
«Uno spettacolo di resistenza», anticipa. «Fa ridere, ma un po’ è anche drammatico. Perché usare inglesismi a vanvera tipo location, feedback e altri? Sono anni che faccio l’asino su queste espressioni forzate. Sia chiaro, non ce l’ho con l’inglese, sarebbe bene anzi saperlo meglio, ma con quell’atteggiamento da spacconi».
I riferimenti abbondano. «Quante volte leggiamo “aspetto un feedback” appena uno manda una mail? O, per rimanere in città, crolla la Garisenda, è partito il crowdfunding? O ancora, faccio una call? Ci scherzo, ma a me, sapendo della mia battaglia, arrivano spesso testi di manager, che so, di Zola Predosa, incomprensibili, dove persino la parola idraulico sta scomparendo: ora è tempo di plumbing. Anche nei circoli Arci si sono infiltrati gli alieni nelle loro reading room. E poi, diciamocelo, tanti modi di dire sono anche sbagliati. Penso allo smartworking per dire che lavoriamo da casa.
Ma ci pensiamo se gli inglesi si mettessero a parlare nella loro lingua e a un certo punto inseriscono una parola italiana? Siamo tipi da un tanto al chilo».
Comaschi ne ha anche per la televisione, sempre più finzione anche nei reality. Ne parla con cognizione di causa, avendo toccato con mano vizi, virtù e segreti nei suoi dieci anni di carriera sul piccolo schermo. Insomma, non si salva nessuno, da Masterchef alle svariate isole dei famosi, fino al Festival di Sanremo.
«E poi, basta piangere ovunque. Ammettiamolo: siamo dei guardoni davanti alla tv». In scena Comaschi è solo con uno smartphone in mano. Ci dialoga, con voci esterne. Nello spettacolo si fa strada anche un curioso aneddoto su un colpo di scena realizzato per la seconda edizione di Carramba che sorpresa, il programma di Raffaella Carrà a cui lui partecipò per due edizioni come inviato.
«Racconto da tempo le sorprese che facevamo a Carramba. Ma questa, su una signora che, portata a casa di Julio Iglesias a Miami, corona il suo sogno, non l’avevo mai raccontata. Irresistibile, ma per me fu un incubo. E qui ringrazio Raffaella che mi ha dato modo di vedere questo mondo, con tanto di citazione di Com’è bello far l’amore da Trieste in giù». Ce n’è anche per chi tiene i cellulari accesi a teatro. il pubblico è avvertito. Ma se questo è l’inizio della fine, quale sarà la fine? «Forse verrà quando l’italiano sarà un dialetto come il bolognese».