L’ascolto di Bartolini
Biennale Arte: visita al Padiglione Italia firmato dall’insegnante all’Accademia di Belle Arti
«Èun lavoro che riassume tutti i miei studi sul suono e in questa mostra, tra ascolto e visione, si tende sicuramente a privilegiare l’ascolto, una nuova percezione per leggere il mondo». Con queste parole l’artista Massimo Bartolini, classe 1962, toscano, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna racconta la sua grande installazione sonora e ambientale, esposta alla Biennale di Venezia, nel Padiglione Italia, curato da Luca Cerizza. Il titolo stesso del progetto «Due qui / To Hear» è un gioco di parole che fa riflettere sull’idea che l’ascoltare suggerisce l’atto di udire come un’azione rivolta all’incontro, alla relazione: un’idea quindi fisica ma anche metaforica in quanto richiama un ascolto aperto, rivolto all’altro. D’altronde Massimo Bartolini già dalla fine degli anni Ottanta ha indirizzato la propria ricerca al mondo della musica e del sonoro perché, come dice lo stesso artista: «Credo che la musica sia la possibilità di percepire fisicamente l’invisibile. Mi piace ascoltare il jazz improvvisato, adoro Thelonious Monk e John Coltrane, ma anche Brian Eno, Steve Reich e John Cage e per me è stato cruciale quando sono entrato nel mondo di Bach, nella sua musica matematica». Un’opera corale questa di Bartolini, intessuta di relazioni creative, che vedono un gruppo di autori partecipare sia nelle composizioni musicali che nella scrittura, per sottolineare come l’arte sia una serie ininterrotta di collaborazioni e di influenze, per potere mescolare elementi visivi ed elementi sonori aprendosi a una condivisione tra ciò che si sente e ciò che si vede. L’itinerario che lo spettatore può percorrere è tripartito tra Tesa 1, Tesa 2 e Giardino delle Vergini dove si incontrano elementi visivi, scultorei, installativi.
Nel primo spazio si trova l’unico elemento figurativo di tutto il progetto: la piccola statua di un pensatore Bodhisattva collocata in cima ad una lunga canna d’organo, un vero e proprio segno nello spazio, che produce un lieve suono, e che vibra se si tocca: il Bodhisattva Pensieroso è un’imma
gine buddhista che suggerisce immobilità e riflessione, in contrasto con il movimento. Il componimento firmato dalle musiciste Caterina Barbieri e Kali Malon sonorizza la seconda sala e la loro partitura viene emessa da grandi carillon che coadiuvati da alcune canne d’organo in legno insufflano il suono nell’enorme organo fatto di tubi innocenti che riempie lo spazio.
Questo luogo, intelligentemente lasciato nudo, è interamente occupato da ponteggi che costringono lo spettatore a insinuarsi tra gli spazi liberi, a vivere questa architettura percorribile incontrando materiali diversi, suoni, vere e proprie sculture di cui una grande circolare sembra spuntare dal pavimento come una fontana, animata da un’onda che sale e scende di continuo. Il percorso si può affrontare in due diversi sensi di marcia e particolare attenzione è dedicata al Giardino delle Vergini e agli alberi che lì sono cresciuti: qui si terranno sino a novembre performance, letture, incontri, con un tappeto sonoro di voci, campane e vibrafono disegnato ad hoc da Gavin Bryars e dal figlio Yuri, che suggerisce possibili relazioni tra uomo e ambiente, a ricordarci che natura, spiritualità, interno ed esterno, architettura di suoni e di voci sono un tutt’uno e che Bartolini concepisce l’opera d’arte più come un’esperienza da vivere e da ascoltare che come un insieme di elementi da osservare. Perché si tratta di respirare l’aria e di ascoltare.
Una nuova percezione per leggere il mondo Credo che la musica sia la possibilità di percepire fisicamente l’invisibile Mi piace ascoltare il jazz adoro Monk