Corriere di Bologna

La sfida europea di Bonaccini

- Marco Marozzi

Da alfieri che non saranno mai sul campo europeo. Nessuno con un carisma che vada oltre gli steccati dell’appartenen­za più stretta. Non Mario Draghi, per intenderci. Bonaccini ringrazia Schlein che «mi ha chiesto di candidarmi«. Lui dieci anni fa non voleva essere presidente della Regione ma capo del Pd nazionale, ora avrebbe voluto il terzo mandato in Emilia-Romagna, non lo volevano Meloni né Schlein, quindi va a Bruxelles. Forse persino i nemici si augurano che funzioni come ha fatto da presidente regionale ex obtorto collo. Elly Schlein gli ha concesso il primo posto nella circoscriz­ione Nord-est per i voti che può portare, non per simpatia politica (strano messaggio per i luoghi e le genti dove la segretaria si candida). Bonaccini lo sa benissimo, altro che la presidenza proforma del Pd. Su questa linea deve muoversi: portare l’Emilia e la Romagna a Bruxelles, terre ricche di tutto, segnate dal «fare» che si è sempre scontrato con gli alambicchi romani dei partiti. Prodi docet. Nel suo discorso di investitur­a ha parlato della «locomotiva d’Italia» (attento a certe enfasi a Bruxelles) e non del Pd. Sarà utile se sarà davvero il lobbista virtuoso, il rappresent­ante di un modo di fare politica.

Nessuno, da Bersani a Cofferati, al Parlamento europeo ci ha nemmeno provato. Elly Schlein è stata anche lei una meteora, come a Bologna, come da vice in Regione. Politica come declamazio­ne di valori, di diritti. Utile in un’Europa di furbastri. All’Europarlam­ento serve però gente che sappia che si trattare, sporchi contare. le mani Di in senso politici alto, rottamati l’aula è piena. Michele Santoro da eurodeputa­to faceva arringhe potentissi­me che però solo qualche italiano capiva. Savonarola deve saper fare manutenzio­ne. Bonaccini molto da imparare. Quando corse per da presidente si barricò in casa con l’ex rettore di Ferrara Patrizio Bianchi che gli fece un corso (continuato negli anni, in giunta) di economia, di amministra­zione. Aveva provato a leggere «L’economia giusta» di Berselli. A Bruxelles in questi anni ha conosciuto l’atmosfera, le miserie e le astuzie. Ha meno di 60 anni, piò o meno gli anni di Prodi quando scese in politica. Ha da imparare a fare politica in modo diverso, in lingue diverse.

Sia italiano perché buon emilianoro­magnolo. Guardando all’Italia, al Pd, imparando come mettere a frutto quel che imparerà.

Romano Prodi nel 2006 al ritorno ci riuscì solo per due anni. Lo aspettano difficoltà, delusioni, aridità, solitudini politiche. Il Partito socialista europeo di cui il Pd fa parte rischia di essere ai margini delle cariche in Commission­e, sdraiato sulla conferma alla presidenza di Ursula von der Leyen, dc tedesca moderata, difficile da vedere come paladina di pace. Un lavoraccio attende il futuro eurodeputa­to modenese. Si corazzi di sapere e di concretezz­a ad affrontare molte guerre, immense, globali e di modeste, decisive trattative quotidiane. E davvero un «nuovo inizio», solitario e comunitari­o.

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