La studentessa dell’occupazione: «Nessuno di noi ha istigato i violenti, è stato impossibile fermare la furia»
Un’alunna del collettivo: il preside come l’anno scorso ci ha sbarrato le porte
Silvia (nome di fantasia, ndr) ha 17 anni e fa parte del collettivo del Belluzzi-Fioravanti che da un paio di settimane stava organizzando l’occupazione. L’occupazione che non c’è mai stata. Al suo posto, la devastazione di una parte della scuola.
Silvia, perché lunedì è andata così?
«C’è stata una perdita del controllo della situazione e una perdita totale del senno da parte dei ragazzi dell’istituto, ma non solo dei ragazzi dell’istituto, perché a scuola c’erano anche molti esterni. La situazione è sfuggita di mano e ha dato luogo a sfoghi e atti di vandalismo e distruzione della scuola, dopo il rifiuto del preside di accettare un’occupazione».
I rappresentanti d’istituto hanno raccontato che il gruppo che gestiva l’occupazione, di cui fai parte, quella mattina era andato dal preside a fare delle proposte. Quali?
«Gli abbiamo portato le istanze dell’occupazione contenute nel mostro manifesto che riguardavano sia problematiche strutturali interne alla scuola che criticità della riforma Valditara. Siamo andati da lui a cercare un confronto, nonostante ci avesse fatto trovare le porte della scuola sbarrate, come era successo nei tre anni precedenti».
Manganaro, ha scritto lui stesso nella lettera inviata ai genitori, non riteneva il vostro gruppo rappresentativo degli studenti. Perché?
«Noi ci siamo ritenuti rappresentativi della volontà degli studenti di occupare rispetto a delle mancanze della scuola, c’era una volontà di manifestazione pacifica tramite un’occupazione e l’abbiamo espressa al preside. Il nostro volantino era pubblico ed è stato divulgato tra gli studenti e attraverso tutti i social, uscendo anche dalle mura della scuola. Abbiamo fatto conoscere così i motivi del nostro gruppo di occupazione che non era però legato a coloro che hanno deciso di danneggiare la scuola. Noi non abbiamo istigato nessuno a fare questi danni».
Come mai non siete riusciti a bloccare il gruppo dei più violenti?
«Noi avevamo ipoteticamente pensato di occupare il blocco centrale nel piano presentato al preside per fare attività durante i giorni dell’occupazione, con 27 persone momentaneamente alla sicurezza. Ma la sicurezza non si è saputa organizzare per seguire le persone dell’istituto che sapevamo già avrebbero potuto reagire in un modo simile, ma non nel modo in cui poi si è svolta la situazione lunedì, e per seguire le persone esterne che hanno approfittato del disagio e del casino. E in più i professori non sono intervenuti pur vedendo quello che accadeva. Siamo stati lasciati a noi stessi. Abbiamo fatto il possibile per fermarli, ma non ce l’abbiamo fatta».
Voi del gruppo di occupazione siete entrati a scuola a quel punto?
«Siamo entrati per gestire la situazione, per aiutare in mezzo a quel casino la gente che è stata male e che ha avuto difficoltà respiratorie a causa degli estintori. Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto».
Come sono i rapporti tra studenti e prof/dirigente?
«L’anno scorso avevamo tentato un approccio simile sull’occupazione, ma ci era stata negata dal preside perché poco organizzata. Si è parlato allora di un’autogestione, ma quando c’erano le proposte di autogestione venivano rigettate o ritenute insufficienti e quindi non ci veniva mai dato nulla. Non c’è quindi fiducia tra studenti e istituzione scolastica: noi non ci fidiamo di loro e loro non si fidano di noi, e si finisce in uno stallo in cui nessuno ottiene quello che vuole».
Adesso cosa chiedete alla scuola vista la gravità di quel che è successo?
«Di essere ascoltati, di capire quello che è successo in modo tale da non punire tutti quanti indiscriminatamente. Dentro la scuola l’altro giorno c’erano le persone che hanno vandalizzato gli ambienti e le persone come me che si sono sbattute tutto il giorno cercando di aiutare le persone, di sistemare la situazione, di trovare un colloquio. Siamo stati additati tutti nello stesso modo».