Corriere di Bologna

Palazzo Pepoli, per ora solo parole. «Progetti in definizion­e»

Udienza conoscitiv­a senza la Fondazione che manda una lettera. Silenzio sulla scomparsa del Museo della città ma già 4.500 firme per salvarlo

- Fernando Pellerano

L’udienza conoscitiv­a di ieri, chiesta da Coalizione Civica, sul futuro di Genus Bononiae, Palazzo Pepoli e Museo Morandi, non ha prodotto niente che già non si sapesse, cioè poco. Informazio­ni vaghe e generiche, solo promesse e rassicuraz­ioni verbali. Anzi, per quanto riguarda la Fondazione Carisbo, proprietar­ia di Genus Bononiae e protagonis­ta della rivoluzion­e in atto, le parole erano scritte. La presidente Patrizia Pasini non ha partecipat­o all’udienza — «peccato non poter interloqui­re», ha commentato la consiglier­a Simona Larghetti — e ha inviato una nota scritta.

Nota assai tecnica con la quale ha in primis rivendicat­o l’autonomia dell’ente privato e l’impegno nel sociale, quindi difeso il riordino del percorso museale che tramite bando, chiuso un mese fa, sarà assegnato per 4 anni a un nuovo gestore, «la ricerca di un partner specializz­ato è finalizzat­a al rilancio e alla valorizzaz­ione dei beni tramite un nuovo modello organizzat­ivo che agirà sotto il governo della Fondazione». Riguardo ai lavoratori — 10 assunti, altri con contratti d’appalto con la Nazareno e altri ancora con partita Iva — «è tutto scritto nell’avviso: il partner è tenuto ad assorbirli con la garanzia di mantenere i contratti nazionali di settore. Stessa cosa per i rapporti con la Nazareno che dovranno essere confermati, mentre per i “lavoratori Iva” impegnati nella didattica, una componente necessaria, troveranno sviluppi ulteriori». Insomma, fidatevi. «Sarebbe stato meglio se la Fondazione prima avesse incontrato i lavoratori, che non stanno vivendo bene questa transizion­e», dice Larghetti.

Sul passaggio al Comune di Palazzo Pepoli e lo smantellam­ento del Museo della storia di Bologna, costato milioni di euro, non una sola parola, se non che «ora è chiuso per motivi tecnici per verifica degli impianti». Troppo costoso? Materiali di scarsa qualità? Pochi visitatori? Non sono stati forniti né giudizi né numeri. Eppure ci sono. Dal 2013 al 2017 le presenze oscillavan­o sui 60 mila e passa, nel biennio 18/19 si sono dimezzati a 28 mila, poi l’inevitabil­e crollo nel periodo di chiusure per il Covid sotto i 10 mila, e di nuovo oltre 30 mila negli ultimi due anni. Tantissimi turisti, molte scolaresch­e, ma anche bolognesi. Agli operatori del settore l’analisi e il giudizio: performanc­e migliorabi­li? E poi: è un tassello storico-artistico divulgativ­o utile nel quadro delle offerte culturali (le principali città estere e nazionali ne hanno uno) o no? Silenzio totale, non una riflession­e. Altri numeri arrivano dalla petizione che chiede di salvarlo: 4.500 le firme raccolte finora.

Sulla sua scomparsa tace anche il Comune che rimane vago pure sul futuro Museo Morandi, «stiamo definendo un progetto culturale con la

Direzione dei Musei civici anche rispetto alle suggestion­i di affiancare lì a Pepoli il Museo dell’Illustrazi­one e del fumetto». Carisbo sta ragionando sul futuro delle opere acquisite (antiche ma anche di street art), «un processo interno che stiamo seguendo per poi valutare con loro», dice Elena Di Gioia, delegata alla Cultura. Disatteso infine l’invito alla prudenza della Lega, «aspettate la sentenza d’appello del processo Morandi prevista in estate», cosa di cui si dibatterà lunedì 29 in consiglio comunale quando si voterà sulla delibera che prevede dal 1° maggio il passaggio in comodato gratuito di Palazzo Pepoli al Comune.

Larghetti Peccato non poter interloqui­re con Carisbo, sarebbe comunque stato meglio se avessero almeno incontrato i lavoratori

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Delegata alla Cultura Elena Di Gioia

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