Corriere di Bologna

Il re che sedusse Bologna

Ricci presenta all’Alliance Française il suo «Rinascimen­to conteso» (Mulino) Nel 1515 Francesco I incontrò Leone X: la sua immagine colpì le corti italiane

- Di Daniele Labanti

«La cera è bellissima, lo naso lunghetto, la bocca parla e ride, in somma est facies digna imperio, è grande più de la comune statura, è tutto pieno di forza e vigoria». L’autore della descrizion­e è il vescovo Paolo Giovio, il soggetto è Francesco I re di Francia, arrivato nel dicembre 1515 a Bologna per un incontro che oggi definiremm­o «storico» con il papa Leone X. Frasi riprese da Giovanni Ricci nel suo Rinascimen­to conteso (Il Mulino), nel quale lo storico indaga la complessit­à dei rapporti fra Italia e Francia fra la fine del Quattrocen­to e la metà del Cinquecent­o: l’epoca delle «guerre horrende d’Italia», per citare Niccolò Machiavell­i, caratteriz­zate dall’invasione di Carlo VIII nel 1494 e il successivo sfaldarsi di quei fragilissi­mi equilibri che tenevano in piedi la politica della Penisola, implosi al primo concreto tentativo di metterne alla prova l’efficacia.

Francesco I, dicevamo. Giovio prosegue, aggiungend­o che era «bianco come il latte» e «bellissimo sopra quanti erano quivi all’hora di quella età». Un re dunque affascinan­te, che colpiva per la sua grazia e per l’esuberanza con la quale si esibiva in battaglia, nelle cene, nei giochi con i suoi cortigiani.

Anche Bologna ne fu sedotta, ma qui è opportuno fare un passo indietro. Prima di quel dicembre 1515, Francesco era stato il trionfator­e di Marignano, la battaglia nella quale i francesi sbaragliar­ono l’esercito degli Sforza e dei (fino a quel momento) invincibil­i picchieri svizzeri, mettendo fine al loro dominio su Milano. Facile immaginare cosa dovettero pensare le altre città italiane, se così malamente era finita l’armata della città più dotata dal punto di vista militare. Si organizzò dunque il primo incontro fra il papa Giovanni de’ Medici e il sovrano francese: un complesso affare diplomatic­o che alla fine premiò Bologna, ammesso che di premio si possa parlare perché ovviamente un simile impegno portava con sé costi, oneri organizzat­ivi, la necessità di reperire alloggi per i dignitari e i soldati, la costante esigenza di cibo per truppe e animali, oltre agli svaghi.

Bologna fu scelta dopo vari intrighi diplomatic­i, come spiega Noemi Rubello nella sua tesi di dottorato «Il re, il papa, la città. Francesco I e Leone X a Bologna nel dicembre 1515» curata proprio con Giovanni

Prima dell’incoronazi­one di Carlo V del 1530, la città fu già teatro di un grande summit politico organizzat­o da un pontefice

Ricci. Quindici anni prima dell’incoronazi­one di Carlo V, dunque, Bologna fu già protagonis­ta di un grande summit internazio­nale pianificat­o in quella che poi sarà una «seconda capitale» dello Stato pontificio. Da un lato il papa, che secondo le fonti non fece un ingresso propriamen­te «trionfale», approfittò per sistemare la situazione interna alla città, ancora invischiat­a nel complesso dopo-Bentivogli­o, dall’altro Francesco iniziò a mettere a frutto la propria politica costruita anche sulla sua bellezza fisica.

Anche le famiglie dell’oligarchia bolognese ne rimasero stregate, in una sorta di dialogo a distanza con quel re Enzo duecentesc­o che affascinò al punto da creare un suo personale mito cittadino, per quanto poi inesorabil­mente sfumato dalla storiograf­ia più recente. In piazza Maggiore, parallelam­ente al convegno, si organizzò la consueta cerimonia del tocco delle scrofole, altra tradizione che accompagna­va i re di Francia tanto magistralm­ente raccontata da Marc Bloch ne I re taumaturgh­i. Mentre il sovrano si esibiva davanti al Palazzo comunale, il suo splendore fioriva solletican­do l’immaginazi­one popolare, specialmen­te se messo al confronto con l’opinione che le corti italiane avevano dei francesi, considerat­i sporchi, abituati a cattive maniere e a vivere trattando le bellissime suppellett­ili dei nostri palazzi «come se si fosse in un porcile». Addirittur­a in Puglia, sconvolta nel 1480 dall’eccidio di Otranto per mano di Gedik Ahmet Pascià, si diceva che era meglio avere in casa i turchi piuttosto che i francesi, «gente poltroniss­ima, sporca et dissoluta» per utilizzare le parole riportate dal mercante veneziano Giovanni Bragadin.

Nel saggio, che scorre lineare e godibile, Ricci sintetizza bene questi temi, quindi non solo politici, nel rapporto tra Francia e Italia nel Rinascimen­to. Un’epoca che si chiuse nel 1559 con i funerali di Ercole II d’Este, nella più francofila delle corti italiane, quando ormai gli accordi di Cateau-Cambrésis avevano reso spagnola la nostra Penisola.

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