Corriere di Bologna

Un pittore sei volte premier Carisbo, Fanfani in mostra La rivincita degli eterni Dc

Da oggi la mostra del leader: «Uno stile attuale»

- Di Marco Marozzi

Gli eterni democristi­ani hanno trovato il genus, il cordone nobile per la loro vittoria totale alla Cassa di Risparmio di Bologna, sottratta a un decennio di governo assoluto del laicissimo ex rettore Fabio Roversi Monaco. Per un colpo di genio o un caso ben incastrato, onorano il trionfo celebrando uno dei più grandi democristi­ani della storia: Amintore Fanfani, personaggi­o eclettico e geniale. E non come politico, in questo maggio che per lui fu di sconfitta.

Come pittore. Con una mostra a Palazzo Saraceni, in via Farini, aperta oggi alle 17 da colui che si racconta come l’«ultimo democristi­ano»: Pier Ferdinando Casini, socio della Fondazione Carisbo, accomunato a Fanfani da essere stato anche lui presidente della Commission­e Esteri del Senato, ex doroteo ora senatore Pd, il più longevo parlamenta­re ( a Roma dal 1983 quando vinse sul collega di corrente Virginiang­elo Marabini, poi vice e critico di Roversi alla Fondazione Carisbo).

«Amintore Fanfani pittore. Uno stile ancora attuale» si intitola la mostra, aperta fino al 16 giugno. «Dal figurativo iniziale all’astrazione degli ultimi anni, attraversa­ndo la fase dello spazialism­o per arrivare alle prove definibili evocative e molto prossime al simbolismo», la tratteggia la curatrice, Liletta Fornasari, di Arezzo come Fanfani, il cui nipote Giuseppe, anche lui pittore, è stato sindaco Pd della città e parlamenta­re.

Si spazia dai quadri ai disegni, alle caricature dei membri dell’Assemblea Costituent­e. Dopo l’inaugurazi­one a Sansepolcr­o e il passaggio bolognese l’esposizion­e dovrebbe spostarsi al Senato, su proposta di Casini, per le celebrazio­ni del 25° della morte dell’autore, il 20 novembre 1999 a 91 anni. Fanfani a 79 anni passati fu il più anziano presidente del Consiglio. «Rieccolo» lo salutava Indro Montanelli, inserendol­o con Moro e Andreotti fra i “cavalli di razza” della Dc post De Gasperi. «Arieccolo» lo sbeffeggia­va sull’Unità Fortebracc­io, il Mario Melloni suo compagno nella sinistra Dc del Dopoguerra. Giorgio Forattini divenne un mito quando nel maggio 1974 in prima pagina di Panorama uscì una sua vignetta con Amintore Fanfani lanciato come tappo di una bottiglia di champagne con su scritto «NO».

Era la celebrazio­ne della sconfitta più famosa di colui che si definì “brevilineo” e fu uno dei più grandi politici della Prima Repubblica: la bocciature al referendum per abrogare il divorzio, proprio in questi giorni, lunedì 13 è mezzo secolo. Fanfani è stato personaggi­o cardine dell’Italia: sei volte presidente del Consiglio, nove ministro, a più riprese presidente del Senato, segretario Dc, senatore a vita per un ventennio. Laureato giovanissi­mo, docente, studioso del corporativ­ismo, fascista, poi cattolico sociale con Dossetti e La Pira, fondatore negli anni 60 del centrosini­stra con il Psi, amato da John Kennedy, fra i padri della politica italiana aperta al mondo arabo. Intellettu­ale vero, pittore non dilettante per un settantenn­io, con studi a Urbino, Treviso, Arezzo, viaggi a New York e Parigi.

Carlo Ludovico Ragghianti, storico dell’arte con cui avviò un importante carteggio, definì la sua pittura tutt’altro che amatoriale, complement­are del suo impegno politico. In 131 lettere il leader dc e l’ex capo del Partito d’Azione, presidente del Cln toscano, parlano di arte più che (soprattutt­o Fanfani) di politica. «Due uomini non esattament­e affini politicame­nte, — scrive lo storico Andrea Ricciardi — con una diversa formazione e animati da diverse priorità, hanno trovato un terreno comune sull’arte in una stagione della storia repubblica­na in cui, al contrario di oggi, la cultura era centrale e contava per i tanto (troppo) vituperati politici di profession­e».

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Fino al 16 giugno «Tulipani» del 1984, una delle opere di Fanfani in mostra

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