La libertà di Orsini in «Le memorie di Ivan Karamazov»
Ivan Karamazov in libertà. Quella «di rappresentarlo come un personaggio che resiste al tempo». Così Umberto Orsini, che da questa sera a domenica 12 porta al Teatro Comunale di Ferrara Le memorie di Ivan Karamazov confrontandosi per la terza volta con una delle figure più complesse, controverse, tormentate e affascinanti della letteratura mondiale (ore 20.30, domenica ore 16. Info 0532-202675). Una libertà che può permettersi.
Il grande attore, protagonista delle scene teatrali già negli anni Cinquanta, è con la televisione che ottiene la popolarità nazionale. Ed è vestendo i panni di Ivan Karamazov che si guadagna i maggiori consensi quando nel 1969 va in onda lo sceneggiato I fratelli Karamazov di Massimo Bolchi. Di questo allestimento Orsini ha curato la drammaturgia insieme a Luca Micheletti (qui anche regista). Le novità sul personaggio, e insieme sull’ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij forse il vertice della sua produzione, sono rilevanti. «Mi sono chiesto, e gli ho fatto chiedere – scrive nelle note – perché mai l’autore, il suo creatore, lo abbia abbandonato non-finito. E questo non-finito me lo sono trovato tra le mani oggi, come in-finito e dunque meravigliosamente rappresentabile perché immortale e dunque classico». E sarà utile a questo punto seguire domani un incontro con la compagnia al Ridotto del teatro coordinato dal direttore artistico Marcello Corvino (ore 18).
Immerso nella semioscurità, Ivan Karamazov, cappotto scuro, stivali neri, capelli bianchi, dopo tanti anni riprende la parola. Sente che il suo personaggio non ha ancora espresso tutta la complessità del suo pensiero. Vuole chiarire. Confessare. Racconta la sua storia cercando di fare luce sui propri sentimenti. Ripercorre il dramma familiare, riesamina le implicazioni legate al parricidio. Come in un vero thriller psicologico e al tempo stesso morale «il cui più alto vertice – si legge ancora nelle note – resta l’immaginario poema di Ivan che narra del confronto metaforico tra un Cristo tornato sulla terra e un vecchio inquisitore che crede che Egli si meriti il rogo».
Come ha affermato Luca Micheletti, «il cuore drammaturgico e registico di queste nostre Memorie di Ivan Karamazov è quello d’una sofferta e sibillina riflessione sull’identità. Assumendo il romanzo come nucleo mitologico «a monte», ci siamo chiesti chi sia Ivan. Un personaggio, d’accordo. Ma anche l’incarnazione romanzesca di un nodo ideologico cruciale e, quindi, un alter ego dell’autore. È una creatura narrativa che, nonostante le diffuse connotazioni che lo descrivono e le molte pagine che Dostoevskij gli dedica, sfuma nell’imprendibile: è la maschera e il pretesto di logiche segrete, negate».