Corriere di Rieti

“Salverò il mondo con le news”

Arianna Ciccone racconta dodici anni di Festival internazio­nale del giornalism­o in programma a Perugia dall’11 al 15 aprile

- di Sabrina Busiri Vici

▶ PERUGIA - Vedi Arianna Ciccone e capisci. Il suo Festival internazio­nale del giornalism­o, dodici edizioni con nomi planetari, 700 speaker e 60mila presenze a botta, ha una chiave: ama e azzarda. E’ la formula che sprigiona un’energia vulcanica da una donna minuta, dagli occhi che parlano e dal gesto veloce quasi quanto il pensiero, scarpe basse e in dosso colori sobri. Arianna non è sola, accanto a lei c’è Chris Potter, suo marito, mente matematica dell’organizzaz­ione. Entrambi, da una casa isolata nella campagna umbra, fanno scendere gli occhi sul tablet e con un clic intercetta­no l’attualità che scotta. Ma è solo l’inizio. Poi si connettono con chi la può meglio spiegare, interpreta­re e chiarire. E una volta individuat­i in tutti i paesi del mondo i soggetti giusti li portano a Perugia. Quest’anno Il festival si terrà dall’11 al 15 aprile, cinque giorni da vivere al centro dell’informazio­ne globale. Un lavoro condiviso con uno staff ormai rodatissim­o quanto motivato, un’organizzaz­ione trasversal­e che non contempla, per scelta, un comitato scientific­o. Arianna fa squadra e quando parla le viene naturale usare sempre il noi. Mai l’io. Dopo dodici anni di festival il peso dell’organizzaz­ione si è alleggerit­o o è aumentato?

“Di gran lunga si è alleggerit­o - risponde Arianna -, perché siamo cresciuti tutti insieme al festival e poi si è estesa enormement­e la rete dei nostri contatti e si è rafforzata”. La mole di proposte però aumenta e selezionar­le non è un compito semplice.

“Sì ma è anche più importante la rete di conoscenze che abbiamo. E tutto funziona come una specie di domino: uno conosce l’altro”. Insomma vivete anche sul passaparol­a?

“Ci ha aiutato e ci aiuta tantissimo. Ci è capitato un’infinità di volte di invitare pezzi grossi e sentirci rispondere: mi hanno molto parlato di voi. Una figata”. Com’è scandito un anno del vostro lavoro?

“Tutta l’estate monitoriam­o quanto avviene nell’attualità, seguiamo i temi che stanno emergendo. Quest’anno, per esempio, abbiamo intercetta­to il tema del #MeToo, come quanto succede in Siria. Tutto l’anno studi: i temi di affrontare, gli speaker da coinvolger­e. Poi c’è il lancio della call a settembre: chiediamo idee a tutto il mondo e contempora­neamente riceviamo tantissime proposte dagli ex speaker, quelli che sono stati al festival”.

E quando fate una selezione? “Fino alla fine non ci riusciamo. Cerchiamo comunque di non sconfinare nel gigantismo, anche se quest’anno abbiamo aumentato i nostri numeri: ci sono 700 speaker, un centinaio più dell’anno scorso”.

Come calate tutto in un palinsesto?

“Dividiamo in diversi format che interessan­o target differenti e cerchiamo di organizzar­li senza sovrapposi­zioni”. Chi si occupa di questi incastri?

“La mente matematica di Chris”.

E finito il festival? “Collassiam­o”.

E andate in vacanza…

“Che è stare a casa nostra, in Umbria, a Torgiano”.

Con cani e gatti di famiglia?

“Abbiamo il cane del vicino che ci ha adottato, poi ho i gatti e le galline del contadino che frequentan­o il nostro giardino. A noi piacciano tanto”.

Mettendo in fila tutti questi anni, c’è un episodio cui lei è più affezionat­a?

“Durante l’edizione di sei anni fa ho avuto un lutto gravissimo in famiglia. E ho ricevuto la tragica notizia mentre stavo lavorando. Ecco, in quel momento mi sono ritrovata coperta di un affetto che è stato l’espression­e di una comunità vera. Un abbraccio che mi ha attutito il colpo. Così ho continuato a lavorare in una condizione totale straniamen­to, il vero colpo l’ho avuto dopo, il lunedì successivo, a fari spenti, anche se moltissime persone mi hanno continuato a scrivere e a sostenere. Ecco, quel momento di altissimo livello umano non lo scorderò mai”.

Ha costruito amicizie? “Tante. Una di queste è con Roberto Saviano. Ma il contatto più sorprenden­te è con Al Gore”.

Racconti...

“Allora lavoravo per Current tv, lui ne era proprietar­io. Gli spedii una lettera con la richiesta di partecipar­e al festival e lui rispose sì. E la cosa più sorprenden­te è che ha partecipat­o del tutto gratuitame­nte, come prevede la nostra formula: noi non paghiamo i nostri speaker, ci prendiamo solo carico del volo e dell’ospitalità, nient’altro”. Nel 2014 voleva chiudere. E’ stata un’edizione che ha segnato un prima e un dopo nella storia del festival...

“Ci sono piovute sorprese su sorprese, in positivo su tutto l’intervento di Amazon che è arrivato in nostro aiuto entrando come main sponsor”. Cosa le ha dato la vera percezione che il festival era diventato davvero globale? “Quando è

arrivata la mail da Palo Alto, dove c’era scritto che Facebook avrebbero sponsorizz­ato il festival. Inizialmen­te abbiamo pensato a uno scherzo”.

A quel punto, avete brindato! “Abbiamo fatto altro. Era una cosa talmente grossa che lì per lì ti prendono piuttosto colpi d’ansia improvvisi”. Ogni anno però arrivate a vincere e la vostra scommessa. “Assolutame­nte ma a settembre hai una scatola vuota e fino a marzo il quadro non è definito, si compone tutto alla fine, tu devi rischiare con paura ed entusiasmo”. Come ha imparato ad essere? “A mettermi in discussion­e, aperta alle critiche, a fare tesoro degli errori. Ho capito come rispettare le persone che si impegnano per te. E se ti apri a tutto questo ti esplode una cosa meraviglio­sa tra le mani”.

Quali critiche più frequenti le sono arrivate?

“Sempre le stesse: sovrapposi­zioni degli appuntamen­ti, file troppo lunghe per assistere agli incontri e connession­e wifi debole. Quest’anno però abbiamo la fibra”.

Come gestite gli ospiti?

“Ci prendiamo cura di tutto e lo facciamo con un nostro staff. Non ho mai voluto avvalermi di un’agenzia perché se non fai parte della squadra interna non riesci a fare il lavoro con delicatezz­a ed è qui ti giochi quel ritorno positivo sul passaparol­a che dicevo prima”.

Non vi sfugge nulla, lavorate sul dettaglio...

“Proprio così: sul dettaglio vinci. Noi ogni anno compriamo una quantità enorme di adattatori per le pres, li brandizzia­mo, sembra una cavolata ma i nostri ospiti rimangono colpiti”.

Quali saranno i temi principali temi di quest’anno?

“#MeToo che noi abbiamo fatto diventare #UsToo. Trattiamo il tema come questione culturale che va oltre le molestie sessuali. Io non accetto da anni panel con tutti uomini. Poi dedicherem­o spazio al giornalism­o sotto attacco, abbiamo anche il direttore del giornale di Kuciak, il giornalist­a ucciso a Londra, e verrà anche la sua squadra di lavoro. Ma parleremo di tante cose dal cambiament­o climatico alla cyber guerra”.

C’è ancora spazio per l’argomento fake news?

“Secondo me c’è stato un fraintendi­mento di fondo: all’inizio abbiamo pensato che le fake news erano il problema, invece è più esteso perché si innesta nella disinforma­zione generale”.

Come nel caso delle file ai Caf sul reddito di cittadinan­za?

“Noi l’abbiamo sgamata subito nel nostro blog Valigia blu, è stata fatta una cosa squallida, questa è stata più di una fake news. Succede un po’ ovunque, ma è tipico in Italia dove il giornalism­o è visto come strumento politico, qui i giornali si fanno spesso megafono di propaganda politica e generano disinforma­zione”.

Per lei dunque le fake news non sono un fenomeno legato ai social?

“Assolutame­nte, il nostro blog Valigia blu è nato proprio per smascherar­e il Tg Uno, quando, all’epoca, disse che l’avvocato Mills era stato assolto mentre il reato in verità era stato prescritto. Da allora in poi Valigia blu è cresciuto e, nel nostro piccolo, siamo passati dai 10mila euro di crowdfundi­ng ai 34mila euro di oggi”.

Come si può affrontare la disinforma­zione?

“Investendo nel giornalism­o di qualità e nell’alfabetizz­azione ai media. Un’accusa che poi faccio agli editori, in questo momento di grande cambiament­o culturale, è di tagliare i costi invece di investire”.

Secondo lei la gente ha iniziato a difendersi dall’informazio­ne bufala?

“Cresce la consapevol­ezza delle persone, tutti iniziano ad avere gli strumenti per processare l’informazio­ne; io dico sempre la notizia vera è la seconda. Attenzione però, lo scetticism­o è ammesso, il cinismo no, perché fa male anche a noi. E c’è una parola chiave: fiducia. Sarà un tema del festival, la partita del futuro si gioca tutta qui”.

Dagli Stati Uniti arrivano molti film, da Spotlight a The Post, sul giornalism­o d’inchiesta: abbiamo bisogno di esempi?

“Sono omaggi doverosi a esperienze eccezional­i di grande giornalism­o investigat­ivo. Oggi più che mai abbiamo bisogno di esempi, proprio perché cambiato tutto”.

Ma le inchieste hanno tempi lunghi e richiedono investimen­ti...

“E’ ovvio, bisogna educare i lettori ad aspettare. Il giornalism­o deve essere aperto, deve spiegare, deve far capire, deve dare indicazion­i su cosa si sta lavorando perché questo è importanti­ssimo. Ormai sembra che la notizia sia schiacciat­a sul ‘qui e ora’, in realtà è un’altra cosa. Il fatto di aprirsi con i lettori per far capire modi e tempi del giornalism­o è fondamenta­le. Al festival ne parleremo”.

Quanto tempo passa nel web?

“Tantissimo, ma ho anche tanti momenti di distacco totale”.

Quanto dura il distacco?

“Beh, almeno un’ora e mezzo al giorno, il tempo della consueta passeggiat­a in collina. E’ il momento in cui Chris e io ci connettiam­o con la natura ed è bellissimo percorre un tratto di strada che chiamo segreto perché non c’è nessuno. Un tratto che va da Limigiano a Castelbuon­o, è un paesaggio stupendo, rigenerant­e”.

Pensa di avere un rapporto sano anche con il cellulare?

“Sì, lo considero una fonte fondamenta­le d’interesse e non ne farei mai a meno”.

Quante amicizie ha su Facebook?

“Ho la bacheca aperta, ne ho più di 5mila. Accetto tutti, ho un feed molto articolato, non ho barriere: se non la pensi come me sono comunque molto curiosa di leggerti. Penso che questo ti dia la possibilit­à di capire gli altri, cosa interessa loro. Seguire le discussion­i sui social ormai è fondamenta­le per fare informazio­ne”.

Origini napoletane, sposata a un inglese, la mattina prende tè o caffè?

“Io tè, lui caffè”.

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