Corriere di Rieti

La Roma pastorale di Luca Barbarossa

Dopo il palco dell’Ariston, il tour: domani tappa all’auditorium di Foligno “Di questi anni salverei l’avvento di un grande amore e tre figli meraviglio­si”

- Di Giovanni Dozzini

▶ La Roma della gente che si mescola, la Roma di chi ci nasce e di chi la sceglie per vivere. La Roma della strada. Luca Barbarossa ha appena pubblicato il suo primo disco di inediti dopo dieci anni, e si tratta di un disco cantato in romano, che fin dal titolo rende bene l’idea della propria identità: Roma è de tutti. Una sorta di affresco in musica in cui appare l’immagine di una città complessa, impossibil­e e bellissima. Barbarossa, che domani sarà di scena all’auditorium San Domenico di Foligno per la rassegna Live in Umbria della Athanor Eventi, spiega che l’uso del romano ha una ragione ben precisa. “Nelle canzoni”, dice, “si può parlare di tutto, in italiano o in dialetto. Il dialetto però è una lingua nella quale non puoi mentire. È la lingua della verità e dell’intimità, è il suono delle tue strade, del tuo cortile, della tua famiglia. La parli quando sei rilassato, quando stai senza maschera. Adoperare il dialetto significa arrivare meglio a te stesso, ma ti dà anche la sensazione di non essere solo: è la voce di una grande storia che viene da lontano”.

A Roma hai dedicato molti pezzi anche nella prima parte della tua carriera. E già allora la guardavi col senso della prospettiv­a, partendo dal passato.

“Roma è de tutti è un disco molto lontano dal concetto di nostalgici­smo, in cui mi guardo bene dal dire quanto si stava meglio prima. Perché non lo penso, non è vero. Con tutti i difetti e le ferite aperte che ha Roma oggi è un posto di cui rimango profondame­nte innamorato. E se la raffronto al passato devo dire che ha un aspetto quasi pastorale che ancora mi commuove. Passando in quartieri quasi centrali ogni tanto mi capita di fermarmi per strada e mettermi a guardare davvero un pastore che passa con le sue pecore dietro. Roma è rimasta sempre un po’ campagnola.

È un posto che ti consente di vivere molto per strada: sono cresciuto vicino a via Margutta, da ragazzino sentivo la gente parlare in continuazi­one, i vecchi raccontar- si le cose. Come in ogni metropoli questa dimensione si sta un po’ perdendo, ma non del tutto”. Com’è nato il duetto con Alessandro Mannarino, che della Roma di questi anni è una delle voci principali, nella canzone Madur? “Mannarino mi è piaciuto da subito. L’ho invitato a Radio 2 Social Club, è venuto spesso, siamo diventati amici. Lo stimo molto, abbiamo parecchi punti di contatto ideali, concettual­i e anche musicali. Credo che in questi anni abbia fatto un gran lavoro di scrittura, e anche di sdoganamen­to del dialetto romano. Che io non chiamo romanesco, per rispetto di Gioacchino Belli e perché quella era una lingua un po’ più complessa”. Chiudiamo con un gioco. La tua canzone Le cose da salvare, del 1994, era una sorta di collage di immagini che meritavano di essere conservate: da Cent’anni di solitudine e Il vecchio e il mare ai Beatles, da Dylan a Benigni che prende in braccio Berlinguer. Se dovessi aggiungere tre immagini significat­ive emerse in questi ventiquatt­ro anni, tra politica, musica e letteratur­a? “Quanto alla politica mi sa che dopo Berlinguer è venuto ben poco di buono. Direi che non c’è proprio niente da salvare. Non aggiungere­i alcuna immagine. Semmai ci metterei quello che ho già messo in Roma è de tutti: l’avvento di una storia d’amore importante che ha cambiato la mia vita, e di tre figli amatissimi e meraviglio­si. Mi sono buttato più sulla dimensione privata rispetto a quella politica, insomma”. Rimangono fuori musica e letteratur­a.

“Allora, per la musica dico i Coldplay. Per la letteratur­a voglio essere nazionalis­ta: ho vissuto con grande affetto ed emozione il successo tardivo e meritatiss­imo ottenuto da Andrea Camilleri. Un uomo di grande cultura e grande talento che ha raccolto quando forse non ci sperava più i frutti di un lungo lavoro. La sua parabola mi è sembrata davvero bella, e incoraggia­nte”. ◀

“Con tutti i difetti e le ferite aperte rimango innamorato della mia città”

“Mannarino mi è piaciuto da subito e l’ho invitato in radio”

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Canzone d’autore Luca Barbarossa all’ultimo Festival di Sanremo ha cantato il brano in dialetto Passame er sale

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